Il peso delle ricostruzioni nella storia
Il caso del 1661 – Romagna toscana e pontificia: due Stati confinanti, due diverse strategie di intervento, due diversi risultati
Dati elaborati dal Catalogo dei Forti Terremoti in Italia, CFTI, 2007 (Guidoboni et al.) e da Viaggio nelle aree sismiche della Liguria, Basso Piemonte, Toscana, Emilia Romagna – coste e Appennino – 91 a.C.-2000, di E.Guidoboni e C.Ciuccarelli, Progetto di divulgazione scientifica, Dip. della Protezione Civile, prima edizione 2001, seconda edizione ampliata, 2007.
L’impatto del terremoto del 1661
Fra il 22 marzo e l’aprile 1661 l’Appennino romagnolo fu colpito da un’importante sequenza sismica (Intensità epicentrale IX grado MCS Me 5.8)
Subì i danni più gravi un’area dell’Appennino tosco-emiliano di circa 570 kmq, compresa fra le vallate dei fumi Montone, Bidente, Rabbi e, in parte, del Senio. Le località colpite appartenevano a due stati diversi, il granducato di Toscana, governato da Ferdinando II (1621-70), e lo stato della Chiesa, governato dal papa Alessandro VII (1655-67).
I paesi granducali danneggiati furono: Castrocaro, Galeata, Marradi e Terra del Sole. I paesi colpiti dello stato pontificio furono: Bertinoro, Civitella di Romagna, Forlì e Predappio.
Numerose scosse si susseguirono per circa 40 giorni, la più forte di queste avvenne il 7 aprile, circa alle 15:10 locali.
Rocca San Casciano subì distruzioni e danni gravissimi; Galeata e Civitella di Romagna subirono danni di poco inferiori. In altre 27 località ci furono danni molto gravi; inoltre una trentina di paesi furono danneggiati in modo meno grave.
Nelle località del granducato di Toscana crollarono complessivamente 84 chiese; molto peggio fu per le case: su un patrimonio edilizio totale di circa 4.560 case, ubicate in 15 comuni e nei loro circondari, ben 1.234 (27%) crollarono. In particolare crollarono 130 case su 140 (92%) a Rocca San Casciano e 108 su 250 (43%) nel suo circondario; 62 case su 92 (67%) a Galeata e 226 su 516 (44%) nel suo circondario.
Le case che non crollarono divennero inagibili e dovettero essere puntellate e anche gli edifici pubblici subirono danni gravissimi. Per Civitella di Romagna, che apparteneva allo stato della Chiesa, non sono disponibili analoghe relazioni sui danni, ma è noto che questa località subì il crollo quasi completo delle case, della rocca e delle chiese. Vi furono complessivamente oltre 330 vittime.
La forte scossa fu sentita a Bologna, Ferrara, Firenze, Ravenna, Cervia e Rimini. Nei territori di Tredozio, Galeata, Pondo e Valdoppio si aprirono profonde spaccature.
Il terremoto ebbe forti effetti negativi sull’economia rurale di questa zona appenninica. Oltre alla morte di contadini e alla distruzione delle loro abitazioni, un grande numero di animali morirono sotto le macerie delle stalle: in particolare nelle località colpite del granducato di Toscana perirono complessivamente 371 capi di bestiame. Anche i traffici commerciali fra i due versanti appenninici subirono un notevole calo, dovuto alle pessime condizioni delle strade, ingombre di macerie e rese impraticabili dal fango causato dalle piogge torrenziali che seguirono al terremoto.
COME FU LA RICOSTRUZIONE?
I due Stati applicarono strategie di ricostruzione diverse. In sintesi, il confronto evidenzia una diversa attenzione al radicamento e al proseguimento delle attività produttive.
LO STATO DELLA CHIESA
Per i territori della Romagna pontificia, l’iniziativa di assumere informazioni sui danni fu presa autonomamente dal legato di Ravenna, cardinale Bandinelli, la massima autorità pontificia in sede locale. Non furono redatte perizie dettagliate sugli effetti, ma solo stime complessive dei costi dei danni.
I provvedimenti furono limitati all’esenzione da determinate tasse (i ‘pesi camerali’). La città pontificia più danneggiata, Civitella di Romagna, fu esentata dal pagamento dalle tasse per venti anni. Questo tipo di intervento andò a favore dei cittadini abbienti, quelli che già pagavano le tasse, mentre i numerosi piccoli proprietari, che avevano come unico bene la loro casa, non ricevettero alcun aiuto finanziario. Dai centri colpiti emigrarono artigiani e salariati e l’amministrazione pontificia non prese provvedimenti per contrastare questo fenomeno di potenziale impoverimento dei centri abitati.
GRANDUCATO DI TOSCANA — MEDICI
Il granduca Ferdinando II ordinò delle visite di ingegneri alle località colpite, ossia delle ricognizioni sul posto da parte di mastri muratori e ingegneri.
L’ingegnere granducale Ridolfo Giamberti fu incaricato di eseguire la perizia dei danni alle fortezze di Castrocaro, Terra del Sole e Montepoggiolo. Giamberti concluse il suo lavoro il 22 maggio, appena due mesi dopo il terremoto. La perizia attesta numerosi elementi che oggi rientrerebbero nella definizione di ‘vulnerabilità’ degli edifici prima del terremoto: egli rilevò infatti che gli edifici avevano subito prima del terremoto effetti dovuti all’erosione dei fiumi, allo scolo delle acque piovane libere e ai ghiacci invernali. Giamberti dimostrò una conoscenza assai precisa del degrado degli edifici causato dagli agenti ambientali.
I provvedimenti presi dal Granducato di Toscana furono rapidi. Pochi mesi dopo il terremoto e dopo aver acquisito le stime dei danni, l’erario fornì una somma di 10.000 scudi fiorentini sotto forma di prestito senza interessi per gli abitanti non abbienti e con interessi al 4% per i proprietari (un tasso considerato al tempo molto basso). Fu inoltre stabilito che la restituzione del capitale, rateizzata in cinque anni, sarebbe cominciata solo due anni dopo la riscossione del prestito. L’amministrazione granducale dimostrò una notevole tolleranza, tanto che ancora nel 1733, a più di settanta anni dal terremoto, si calcolavano i saldi di tali debiti, che nel frattempo erano stati ereditati da altre generazioni.