Una storia da ritrovare
Indice
I FORTI TERREMOTI NELLA STORIA D’ITALIA
IL PESO ECONOMICO E SOCIALE DEI DISASTRI SISMICI NEGLI ULTIMI 150 ANNI (1861-2011)
di Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise
Bononia University Press, 2011 – www.buponline.com Guido Chiesura in collaborazione con il sito
www.darwingeologo.com
copyright BUP e Centro EEDIS
1873, 29 giugno: Bellunese – Alpago
Me 6.3 I0 IX-X Imax IX-X Siti valutati: 194
I0 = Intensità epicentrale
Me = Magnitudo equivalente
I = intensità al sito in scala Mercalli, Cancani, Sieberg.
Uno dei più forti terremoti del nordest colpisce un’area di media montagna costellata da numerosi villaggi e paesi, che subiscono rovine e lesioni. La stessa città capoluogo, Belluno, è estesamente danneggiata. Le numerose chiese crollate non sono più ricostruite nelle forme precedenti. Un’edilizia povera e tradizionale, “collaudata” dalla violenta scossa, lascia un’eredità di macerie e di instabilità abitativa, che spinge all’emigrazione. Grandi frane, anche oggi attive, voragini e spaccature segnano questo territorio di montagna, fra i più belli del Paese.
Effetti
Il terremoto del 29 giugno 1873 alle ore 4:58 locali è stato uno dei più forti dell’Italia nord-orientale. Ebbe una durata di circa 15 secondi, causò complessivamente 80 morti, 83 feriti e quasi 800 senzatetto. L’area più colpita è localizzata a nord del lago di Santa Croce, nella conca dell’Alpago, in provincia di Belluno, una zona montagnosa e semi agricola, con numerosi villaggi e paesi dove il terremoto causò estese distruzioni; danni notevoli furono rilevati in tutto il territorio compreso nell’area Belluno – Pordenone – Conegliano; crolli diffusi avvennero anche nel trevigiano e nelle località a sud dell’altopiano della foresta del Cansiglio.
In sette località dell’Alpago il terremoto causò le distruzioni maggiori, con danni che sfiorarono il grado X MCS. Furono quasi completamente rasi al suolo: Pieve d’Alpago con la frazione Curago, Puos d’Alpago con la sua frazione Cornei, il paese di Borsoi, nel comune di Tambre, e le località di Funes e Lamosano (entrambe frazioni di Chies d’Alpago). Oltre ai paesi sopra citati, altre 15 località ebbero estese distruzioni, con numerosi crolli totali di edifici (effetti di grado IX MCS o di poco inferiori). In altri 28 centri abitati, fra cui Belluno, i crolli totali di edifici furono meno numerosi, ma ci furono comunque danni molto gravi, con diffusi crolli parziali, lesioni e dissesti strutturali, estesi a buona parte del patrimonio edilizio (effetti equivalenti al grado VIII MCS o di poco inferiori). Belluno, che all’epoca aveva circa 4.680 abitanti e circa 410 famiglie, fu il centro più importante fra quelli danneggiati: dei suoi 508 edifici, 8 crollarono, 110 risultarono da demolire, 139 furono completamente da ristrutturare e 251 richiesero riparazioni più o meno significative. Una chiesa fu distrutta e altre sette furono danneggiate fortemente, fra queste il duomo, la chiesa di San Pietro e quella delle Grazie. Rimasero senza casa 105 famiglie.
Effetti complessivi del terremoto del 29 giugno 1873
Nel trevigiano furono particolarmente danneggiati i territori comunali di Vittorio Veneto e di Sarmede, nella parte nord della provincia, più prossima all’area epicentrale. Nel primo comune furono colpite le frazioni di Fadalto e Fadalto Basso, dove ci furono danni a tutti i fabbricati e crollarono alcune abitazioni; la chiesa parrocchiale di Fadalto divenne pericolante e tutti i 400 abitanti si accamparono all’aperto.
A San Pietro di Feletto crollò la chiesa parrocchiale, un antico edificio fatiscente, causando la morte di 38 persone. Anche in Friuli la forte scossa del 29 giugno causò danni: gli effetti più gravi colpirono la parte occidentale della provincia di Pordenone, dove furono notevolmente danneggiati il paese di Barcis, nella valle del torrente Cellina, e le due località di Sarone e Stevenà, frazioni di Caneva. Ci furono danni gravi anche a Casarsa della Delizia, nei pressi del Tagliamento, a una quarantina di chilometri dall’area epicentrale.
In circa 60 località, situate soprattutto nelle attuali province di Belluno, Treviso e Pordenone, ma anche in qualche centro abitato delle province di Venezia, Trento, Gorizia, Udine, Vicenza, Brescia, Verona e Trieste, furono riscontrati danni minori, di media entità (grado VII MCS) o leggeri (grado VI MCS).
Terremoto del 29 giugno 1873. Belluno: case con crolli e parziali dissesti
In numerose altre città del Nord Italia, fra cui Bologna, Cremona, Milano, Mantova, Modena, Padova, il tremore fu sentito fortemente.
La scossa del 29 giugno fu seguita da numerose repliche, che perdurarono fino alla fine di agosto; molto violente furono quelle avvenute il 5 luglio, che causarono la definitiva e completa distruzione del duomo di Belluno e l’apertura di una larga fenditura orizzontale sul monte Verzit, nei pressi di Fadalto Basso.
La fortissima scossa fu sentita in tutto il nord Italia fino a Genova e Torino, e verso sud fino alle Marche meridionali e all’Umbria. Di là dalle Alpi fu avvertita a Vienna, Lubiana, Lucerna, Augsburg, Innsbruck e in molte altre località della Svizzera, dell’Austria, della Slovenia e della Baviera.
Effetti Conseguenti
Innesco di grandi frane ancora attive e caduta di massi
In molti punti dell’area più colpita dal terremoto si aprirono delle fenditure nel terreno. Dai monti dell’Alpago si staccarono numerosi massi, che in alcune zone distrussero case e danneggiarono i campi coltivati. Nel monte Fenerola si aprì un’enorme spaccatura verticale, attraverso tutto lo spessore del monte, alta circa 800 metri e con una larghezza alla base di una trentina di centimetri: rimase visibile anche a notevole distanza.
Terremoto del 29 giugno 1873. Belluno: danni all’abside della
cattedrale in un disegno dell’epoca
Terremoto del 29 giugno 1873. Belluno: crolli all’interno della
cattedrale in un disegno dell’epoca
Le acque sorgive subirono variazioni di regime e si intorbidarono. Attorno al lago di Santa Croce comparvero fonti temporanee di acqua sulfurea. Il 7 luglio una commissione della Società Veneto – Trentina di Scienze Naturali compì una ricognizione sul campo per studiare i fenomeni sull’ambiente. Gran parte delle notizie riguardanti gli effetti ambientali all’interno dell’area interessata dall’evento sono riportate nella relazione scientifica dei sismologi Pirona e Taramelli, che rappresenta, per questo terremoto, una delle fonti più attendibili e di maggiore qualità. Tra Montanes (San Martino d’Alpago) e Alpaos, nel territorio comunale di Chies d’Alpago, si riscontrò che buona parte di un dosso, compreso fra due valli profondamente incise dall’erosione, rischiava di franare a causa delle profonde fenditure apertesi in seguito alla scossa.
Terremoto del 29 giugno 1873. Feletto, le rovine della chiesa di San
Pietro
Nel comune di Chies d’Alpago si mise in movimento una grande frana, che coinvolse un’area comprendente più villaggi: inizialmente il terremoto causò l’apertura di una frattura del suolo che si propagò verso i poggi di Chies e di Lamosano, interessando un’area di circa quattro chilometri quadrati. Questa ampia superficie si mise poi in movimento, senza apparente scomposizione e molto lentamente; dalla parte di Chies il movimento franoso apparve più lento, ma con uno spostamento verticale di circa 7-8 metri; verso Lamosano il distacco orizzontale della frana risultò di ben 22 metri. Nei pressi di quest’ultimo villaggio, inoltre, furono rilevate alcune fenditure nel terreno. Altre fratture nel suolo, sempre nel territorio di Chies, si aprirono nei pressi della frazione di Molini e sulla cresta del poggio di Funes. A nord di quest’ultimo paese, dal monte Roncadin si distaccarono numerose frane e pesanti massi.
Terremoto del 29 giugno 1873.
Ampio scoscendimento di terreno marnoso tra Chies e Irrighe in Alpago.Il disegno fu eseguito sul posto durante un sopralluogo degli studiosi Giulio Andrea Pirona e Torquato Taramelli.
Nel territorio comunale di Tambre, tra le località di Tambruz e di Borsoi, sopra Lavina, furono osservate due fessure parallele distanti l’una dall’altra circa 500 metri; il terreno posto fra queste due fenditure appariva ribassato di 10-35 centimetri.
Altre fratture nel terreno furono riscontrate lungo il torrente che scorre tra Pieve
d’Alpago e la sua frazione di Torres. Dal Monte Pascolet si staccarono numerosi massi che resero impraticabile la strada che da S.ta Croce si dirige al Cadore. A Belluno, in piazza Campitello si formò una spaccatura lunga una sessantina di metri e larga circa 15-20 centimetri. La sorgente della Vena d’Oro si intorbidò temporaneamente, così come quella del fiume Livenza, ai piedi del monte Cavallo. Infine dal monte Presa (Pinè), nei pressi di Fadalto (comune di Vittorio Veneto), si distaccarono enormi massi.
Terremoto del 29 giugno 1873 in una incisione dell’epoca. Belluno: tende in piazza
Campitello per i senzatetto. Nel suolo di questa piazza si era aperta una spaccatura
lunga una
sessantina di metri e larga 15-20 cm
Risposte istituzionali
Assieme al Lombardo Veneto, la provincia di Belluno fu unificata al regno d’Italia nel 1866; in precedenza era stata sotto il governo di Venezia fino alla caduta della Serenissima, nel 1797 (trattato di Campoformio). Durante il periodo veneziano, il bellunese e in particolare l’Alpago insieme alla foresta del Cansiglio erano stati fortemente sfruttati per la produzione di legname di pregio, ma senza riforme e incentivi per l’economia dell’area. Dal 1797 al 1815 il bellunese fu dominato dai francesi come Dipartimento del Piave. Dal 1816 questa provincia, come tutto il Lombardo Veneto, passò sotto il governo austro-ungarico, che ne migliorò in maniera sostanziale le condizioni economiche: fu favorito il decentramento, furono costruiti ponti e opere pubbliche. Ma l’annessione al nuovo Regno d’Italia, nel 1866, trovò una classe dirigente locale impreparata ad affrontare da protagonista le riforme economiche necessarie per incentivare l’agricoltura e la lavorazione e il commercio del legno. La provincia di Belluno e la città stessa iniziarono a decadere; le condizioni di vita dei residenti, che erano per lo più contadini, boscaioli e artigiani, si impoverirono sensibilmente e iniziò un flusso migratorio verso altri paesi europei e l’America.
Quando avvenne il terremoto del 1873 questa fase di crisi era già iniziata, e le distruzioni peggiorarono
sensibilmente il quadro generale. Tuttavia non ci fu inerzia: in molte località si raccolsero fondi a favore dei danneggiati, sia da parte di privati, sia per intervento di rganismi statali ed ecclesiastici. Le autorità provinciali e locali si recarono nei centri anneggiati per controllare i danni. Soldati e carabinieri furono inviati sul posto per rimuovere le macerie, per montare tende e per controllare l’ordine pubblico e le comunicazioni. I puntellamenti e le riparazioni ordinate subirono però dei ritardi a causa della mancanza di legname. Nel mese di luglio si fere ricorso a un distaccamento militare per l’abbattimento degli alberi messi a disposizione per la ricostruzione, che si avviò con grande lentezza e con pochissimi mezzi economici.
A Belluno fu costituita una Giunta permanente, costituita da membri della Prefettura, del Comune, della
Regia Procura e del Genio civile per verificare l’impatto economico del terremoto sulla popolazione e sul
patrimonio edilizio. Una commissione fu incaricata di effettuare perizie tecniche in tutti i fabbricati della città, dei sobborghi e delle frazioni. Il quadro dei danni fu molto preciso. La ricostruzione governativa privilegiò gli edifici pubblici, ecclesiastici e militari, nonché le infrastrutture viarie (ponti e strade), che erano state molto danneggiate a causa delle numerose frane, degli smottamenti e della caduta di massi. Le chiese molto danneggiate o distrutte non furono più ricostruite nelle forme precedenti: si applicò un modello semplificato e uniforme, ancora oggi visibile. Molti campanili, alcuni anche medievali, resistettero meglio di altri edifici all’urto sismico, tanto che oggi rappresentano spesso i monumenti più antichi nei paesi colpiti da questo terremoto.
Altri terremoti minori causano nuovi danni
Pubblicazione gentilmente concessa al sito www.darwingeologo.com
Eredità e Normativa
Rovine sismiche ereditate e normative antisismiche perdute: 1851 – 1859
Terremoto del 1851 – Melfi: danni alla cattedrale e alle case |
I terremoti sono eventi naturali. Diventano disastri quando intercettano l’attività antropica.
In particolare, il rapporto tra l’energia rilasciata e gli effetti causati in superficie è strettamente legato alle caratteristiche del mondo abitato, soprattutto alla qualità delle costruzioni.
Nel “PROLOGO” del libro da cui sono tratti i testi e le immagini, il Centro EEDIS presenta una lunga riflessione che fa pensare: perché la nostra società non vuole ricordare la storia dei terremoti?
“Ci sono storie che si dimenticano, o che non si vogliono ricordare, o che comunque non entrano nei manuali di storia. I manuali selezionano eventi e fissano interpretazioni, dispongono la storia in una sequenza di fatti in cui il motore è sempre l’uomo. I terremoti distruttivi sono una storia che nessuno racconta: la natura è il motore dell’evento, e solo l’interazione con quanto, dove e come è costruito sul territorio determina gli effetti. Ecco i disastri sismici. Imprevedibili, distruttivi, costosi, hanno pesato e pesano sulle economie e sulle società colpite. In qualunque tempo siano accaduti, hanno modificato la vita degli individui e delle famiglie, cambiato relazioni sociali, forme urbane, modificato o abbattuto antiche vestigia, mutato reti insediative, segnando talora di rovine e abbandoni il paesaggio italiano. I disastri sismici hanno fatto sempre pensare, discutere, ipotizzare: per capire come avvengono, come si propagano, come ci si può difendere. Ma anche quando, in tempi relativamente recenti, questi elementi sono divenuti dati scientifici, i risultati della ricerca e del pensiero, le conoscenze sull’accadimento di questi eventi nel lungo periodo sono stati noti per lo più solo fra gli addetti ai lavori; non sono stati sufficientemente diffusi nel sapere e nella cultura correnti, non si è creata una consapevole e condivisa memoria del rischio. I terremoti sono stati considerati “fuori dalla storia” dei fatti ufficiali, eppure una storia l’hanno fatta: la fatica della sopravvivenza e delle ricostruzioni, la perdita di vite, sfide umane e di beni, le partenze dai luoghi rovinati, e poi dispersioni, emigrazioni, spopolamenti o ritorni, ma anche speculazioni, progetti realizzati o decaduti, norme eluse perdute. Una storia che ha segnato il Paese da secoli, in un divario fra nord e sud forse meno netto di quanto si potrebbe supporre, se si escludono la Calabria e la Sicilia orientale.Questa storia è ancora in un cono d’ombra, non divulgata e non riflettuta. Per queste ragioni è stato realizzato questo libro: per raccontare i primi 150 anni della storia d’ Italia da un punto di vista diverso e non definitivo, perché i forti terremoti, fenomeni naturali dovuti alla vita stessa della Terra, continueranno ad accadere. Sono i disastri sismici, invece, che potrebbero essere fermati”. |
Nei dieci anni precedenti la sua unificazione l’Italia è colpita da diversi disastri sismici. Il regno di Napoli è travolto da distruzioni e rovine nel 1851, 1853 e soprattutto nel 1857; lo stato della Chiesa nel 1859. Il nuovo governo del regno unito sottovaluta l’importanza economica e sociale di quegli impatti. Una scia di povertà, malcontento e depressione economica segnerà quelle aree per molti decenni. Le ricostruzioni mancate sono un’occasione perduta del nuovo il governo, che azzera regole enorme antisismiche varate dai Borboni e da Pio IX e abbandona pratiche amministrative appena avviate per il controllo della qualità dell’edilizia.
Ricostruzioni
La Sfida Perduta delle Ricostruzioni
Nel Regno di Napoli – Governo dei Borboni
Il regno unificato d’Italia, iniziato nel 1861, si trovò a dover fronteggiare le rovine causate da quattro importanti eventi sismici accaduti pochi anni prima nel regno di Napoli, governato dai Borboni, e nello stato della Chiesa, governato da Pio IX. Furono disastri importanti, i cui impatti economici e sociali e le cui ricostruzioni pesarono per decenni sulle popolazioni colpite. Il terremoto del 14 agosto 1851 colpì la Basilicata settentrionale e in particolare la zona del Vulture; quello del 9 aprile 1853 colpì la Campania meridionale; il terremoto del 16 dicembre 1857 fu un evento devastante di elevata energia che portò distruzioni e danni nei paesi della Val d’ Agri, del Vallo di Diano, in gran parte della Basilicata e del salernitano. Questi tre terremoti lacerarono non solo gli edifici, ma anche il tessuto sociale e la fiducia degli abitanti: l’avara e burocratica macchina amministrativa borbonica, in un contesto di controllo poliziesco dell’ordine pubblico motivato da ragioni politiche, lasciò quelle terre desolate e quasi prive di risorse per le ricostruzioni, e per di più prive di regole enorme.
Le rovine del paese di Montemurro, 1857 |
Nel 1851 (14 agosto) Melfi e Barile furono quasi rase al suolo; morirono 660 persone di cui 440 nella sola Melfi (M = 6,4 – I0 = X)1, dove crollarono tutti gli edifici pubblici, privati e di culto.
A Rapolla e Rionero in Vulture i pochi edifici non crollati dovettero essere demoliti. Danni gravi si registrarono a Venosa, Atella, Lavello, Ripacandida. Vari rapporti ufficiali e relazioni scientifiche del tempo contengono informazioni puntuali sui danni subiti in molte località, sugli effetti nel terreno e nel regime idrologico . Nella Capitanata (l’attuale provincia di Foggia) i danni maggiori si ebbero ad Ascoli Satriano (dove crollarono quasi completamente la Chiesa di Santa Lucia e il palazzo vescovile), Bovino, Candela, Cerignola. In Irpinia la località più danneggiata fu Monteverde, dove la cattedrale e una cinquantina di abitazioni rimasero gravemente danneggiate.
Con il terremoto del 9 aprile 1853 (M = 5,6 – I0 = VIII) fu colpita l’Irpinia meridionale: i danni maggiori si ebbero a Caposele (200 case crollate), Calabritto, Lioni, Senerchia, Quaglietta (Avellino).
Il terremoto del 16 dicembre 1857 (M = 7,0 – I0 = XI) colpì, con tre scosse micidiali, vaste zone della Basilicata e la parte meridionale della Campania, in particolare la provincia di Potenza e la zona centro-orientale di quella di Salerno. I danni maggiori si ebbero nelle zone più alte.
Il maggior numero di vittime si ebbe nei comuni di Montemurro, Grumento Nova (allora Saponara), Viggiano, Tito, Marsico Nuovo, Polla: per la provincia di Potenza furono censiti 9.732 morti e 1.207 nella provincia di Salerno. L’ampiezza e la ubicazione di danni furono resi pubblici a Napoli sette giorni dopo l’evento.
Precarietà economica, forte vulnerabilità dell’edilizia (vecchie case in sasso, ciottolo o pietrisco), mancanza quasi totale di vie di comunicazione sono i principali elementi che concorsero al drammatico scenario del terremoto del 16 dicembre 1857.
Stato della Chiesa
Il 22 agosto 1859, un forte terremoto ((M = 5,8 – I0 = IX) colpì Norcia e la Valnerina, in Umbria, allora appartenenti allo stato della Chiesa. Norcia subì danni gravissimi e crolli diffusi, e in particolare la distruzione di due interi quartieri posti sul pendio della collina, le cui case, abitate dai cittadini più poveri, erano di pessima qualità.
Norcia, 1859: Lesioni e crolli nella chiesa di S. Benedetto e nel palazzo comunale |
Il patrimonio ecclesiastico fu estesamente danneggiato: il palazzo vescovile e l’ospizio delle Orfane crollarono parzialmente: sette chiese e tre conventi divennero pericolanti; crollarono in parte anche il Palazzo comunale e del Governo. Delle 676 case che componevano l’abitato di Norcia, 195 (29%) crollarono completamente; le case che subirono meno danni furono quelle che si trovavano nel centro abitato e costruite su terreno tufaceo. I fabbricati industriali, per la maggior parte concerie e lanifici, erano completamente distrutti. Gli ingegneri pontifici rilevarono che le case più danneggiate erano quelle di edificazione più recente, con muri sottili di ciottoli di fiume privi di superfici piane su cui potesse fare presa il cemento, quindi slegati uno dall’altro. Dopo un attento rilievo dei danni furono predisposte dal governo di Pio IX, per la prima volta, importanti normative edilizie per la ricostruzione di Norcia, redatti da una commissione con l’apporto fondamentale dell’architetto Luigi Poletti (1792-1869) e dell’astronomo gesuita Angelo Secchi (1818-1878). Il vecchio regolamento edilizio fu sostituito il 28 aprile 1860 da una nuova legge edilizia, ma i vincoli posti furono prima osteggiati dal consiglio comunale in un incredibile braccio di ferro con l’amministrazione pontificia, poi abbandonati dal nuovo governo italiano. L’avere smarrito questa innovativa legge edilizia costò caro alla popolazione umbra, colpita in seguito da altri disastrosi terremoti. Fu un’altra occasione perduta.
1 Io = Intensità epicentrale; M = magnitudo equivalente; I = Intensità al sito in gradi della scala MCS (Mercalli Cancani Sieberg), che classifica gli effetti ci un terremoto in un contesto costruito e abitato.
Effetti complessivi dei quattro forti terremoti accaduti pochi anni prima dell’Unità d’Italia:
14 agosto 1851, 9 aprile 1853 e 16 dicembre 1857 nel Regno delle due Sicilie, e il 22 agosto 1859 nello stato della Chiesa.
Bibliografia essenziale: G. Ferrari (a cura di) Viaggio nelle aree del terremoto del 6 dicembre 1857, 6voll. 3 DVD, SGA, Bologna, 2004-2009.
copyright BUP e Centro EEDIS