Terremoto del 23 febbraio 1873 Liguria Occidentale Io IX MCS – Me 6.3
Il terremoto del 23 febbraio 1887 si manifestò con tre forti scosse ravvicinate, avvenute la mattina alle ore 6:21 (la più violenta), 6:29 e 8:51 locali. Fu avvertito in un’area vastissima, estesa per circa 568.000 km 2 . In tutti i centri abitati colpiti i danni agli edifici furono un effetto cumulativo delle tre scosse. Le vittime accertate furono 635, oltre 550 i feriti stimati, e 20.000 i senzatetto. Danni significativi furono riscontrati in una vasta regione comprendente le province di Porto Maurizio (oggi Imperia), Cuneo e Savona (all’epoca nella provincia di Genova), e in particolare i circondari che avevano come capoluoghi Sanremo, Albenga e Mondovì. Il confine di Stato all’epoca passava da Sospel, più a occidente rispetto alla demarcazione attuale: ricadevano quindi sotto la giurisdizione italiana Tende, i centri dell’alta valle del fiume Roya e gli insediamenti montani della regione del Mercantour, oggi in territorio francese. In Francia, l’area degli effetti distruttivi comprese il territorio nizzardo, posto tra il confine di Stato e Cannes, corrispondente alla regione sud-orientale dell’attuale dipartimento Alpes Maritimes. Gli effetti più gravi si concentrarono in un’area estesa per circa 100 km lungo la costa ligure, tra Mentone e Albisola, ma per soli 15-20 km verso l’entroterra, costituito dalle pendici digradanti verso il mare del massiccio alpino e dell’Appennino ligure. Gli effetti furono particolarmente distruttivi in corrispondenza della regione montuosa che segna il confine tra la catena appenninica e le Alpi Marittime. Alcune anomalie nella distribuzione territoriale degli effetti distruttivi furono attribuite, già dagli osservatori scientifici del tempo, alle caratteristiche della risposta sismica offerta da terreni di fondazione litologicamente diversi. Gli effetti più gravi furono riscontrati a Diano Castello, Bussana, Diano Marina, Cervo, Pompeiana e San Bartolomeo del Cervo (ora San Bartolomeo al Mare), tutti centri situati nell’attuale provincia di Imperia. A Diano Castello quasi tutti gli edifici furono completamente distrutti, per un danno complessivo valutato in 516.051 lire. Nella chiesa parrocchiale cadde la volta, si aprì una grande spaccatura lungo tutta la facciata e il campanile crollò in parte; nell’oratorio di San Bernardino cadde il tetto e fu lesionata la facciata; la chiesa di San Giovanni riportò lievi lesioni, mentre il suo campanile fu danneggiato gravemente. I morti furono 32 e una quindicina i feriti.
Il terremoto fu distruttivo anche a Diano Marina, dove ci furono 190 morti e 102 feriti. Nella parte sud-occidentale del paese i quattro quinti delle case crollarono totalmente o parzialmente, mentre negli altri rioni si ebbero danni relativamente minori, ma pur sempre gravi; i muri portanti delle costruzioni furono lesionati, e negli interni caddero le pareti divisorie e le volte, soprattutto nei piani alti degli edifici. Il collegio degli Oblati subì danni di rilievo ai muri portanti e all’architrave. Nella chiesa parrocchiale, meno danneggiata delle case circostanti, si aprirono lesioni nell’abside, nella facciata, nella volta e nel campanile. La stazione ferroviaria risultò inagibile.
A Bussana (oggi Bussana Vecchia, nel comune di Sanremo, ma fino al 1928 comune autonomo) il terremoto causò il crollo di molte case, con la morte di 53 persone e il ferimento di 23. I danni maggiori si concentrarono nella parte più vecchia e alta del paese, dove case di edilizia tradizionale povera erano costruite su terreni instabili e dove un terremoto precedente, avvenuto il 26 maggio 1831, aveva lasciato notevoli lesioni negli edifici. Con le forti scosse del 1887 la volta della chiesa parrocchiale crollò completamente e la parte superiore della facciata, sporgente al di sopra del tetto, si rovesciò in avanti, precipitando sulle case vicine; il campanile fu gravemente lesionato nella parte superiore. A Pompeiana la parte bassa del paese era costruita su terreni instabili: qui molte case crollarono e le restanti risultarono inabitabili per le gravi lesioni. Nella parte alta dell’abitato i danni furono sensibilmente minori; nella chiesa parrocchiale si aprirono fessure e nell’oratorio a fianco della chiesa cadde la volta. A Cervo tutti gli edifici furono gravemente lesionati, crollò una casa costruita nei pressi del litorale; nella chiesa si aprirono fenditure negli archi e nella volta e nella sacrestia si allargò una spaccatura già esistente, per un danno complessivo stimato in 64.450 lire dagli ingegneri governativi, che per l’ufficio municipale valutarono i danni 200.000 lire circa. A San Bartolomeo del Cervo i gravissimi danni agli edifici furono valutati in 71.454 lire.
In altre 95 località, comprese nelle attuali province di Imperia, Savona e Cuneo, in territorio italiano, e in vari paesi della Costa Azzurra francese, il terremoto causò crolli totali più limitati, ma i danni furono comunque gravi, con crolli parziali e dissesti strutturali diffusi a gran parte del patrimonio edilizio (effetti di grado VIII MCS o di poco inferiori). In gran parte di questi centri abitati la scossa principale fu preceduta e accompagnata da un cupo boato. L’attuale città di Imperia all’epoca del terremoto non esisteva ancora: sarebbe nata solo nel 1923 dall’accorpamento amministrativo dei due centri abitati di Oneglia e Porto Maurizio, situati rispettivamente a est e a ovest della foce del torrente Impero, che subirono entrambi danni gravi. A Oneglia solo il 3% dei fabbricati fu dichiarato ancora agibile dopo la scossa. Numerosi edifici crollarono totalmente; in molti altri sprofondarono i piani interni e furono spostate e sbalzate le lastre di ardesia dei tetti. Crollarono l’edificio del telegrafo e il collegio reale. Nella facciata della chiesa di San Francesco si aprì una grande spaccatura. I danni agli edifici furono complessivamente valutati nell’ordine di due milioni di lire; molti furono i fenomeni di rotazione di pilastri, statue, croci e altri elementi decorativi; si contarono una ventina di morti e circa 70 feriti, 22 dei quali gravi. L’ospedale crollò internamente, senza causare vittime; rimase indenne, invece, il fabbricato dell’asilo infantile.
A Porto Maurizio, all’epoca capoluogo provinciale, crollò parzialmente l’Istituto Tecnico e vi furono gravi lesioni nelle case della parte orientale dell’abitato; nella parte ovest, fondata su terreno più compatto, i danni furono minori. Fenditure di rilievo si aprirono nei piani più elevati delle case, nel duomo di San Maurizio e nella caserma di fronte al duomo (oggi palazzo della Questura). I danni agli edifici ammontarono complessivamente a 709.800 lire. In quello che è l’attuale territorio comunale di Imperia, i danni più gravi furono rilevati in località Costarossa e nella borgo di Cantalupo, dove crollarono parecchie abitazioni. Anche il comune di Borgomaro fu colpito gravemente. A Taggia i crolli e le distruzioni interessarono, in particolare, la parte centrale dell’abitato, costituito da case per lo più vecchie e di costruzione povera, spesso mal riparate dalle lesioni causate da precedenti terremoti, in particolare quello del 1831. La chiesa parrocchiale riportò screpolature, fessure e la spaccatura dell’architrave sull’altare maggiore; nella volta, inoltre, si allargò una fenditura causata dal terremoto del 1831 e non riparata. Nella volta e nei muri laterali della chiesa di San Sebastiano si aprirono profonde e pericolose fenditure. La facciata dell’oratorio della Trinità si staccò dal resto dell’edificio. La casa Ruffini, di antica costruzione, crollò parzialmente. Nel territorio comunale di Molini di Triora le località più danneggiate furono Andagna, Corte e Glori: in particolare, l’abitato di Corte era costruito su terreni instabili e in pendìo, e caratterizzato da edifici mal costruiti, molti dei quali crollarono. Nella chiesa si aprirono spaccature nella volta, nelle cappelle laterali e nella sagrestia; nella casa parrocchiale sprofondò un soffitto del primo piano. A Glori e ad Apricale crollarono alcuni edifici e la chiesa di San Romolo, mentre a Badalucco circa 200 case risultarono inabitabili.