Terremoto del 26 luglio 1805 Io X MCS Mw 6.6 Sannio – Matese
Questo terremoto colpì una vasta area dell’Italia centro-meridionale ed ebbe effetti distruttivi nel Sannio, soprattutto lungo la fascia pedemontana orientale del Matese.
Facendo riferimento all’attuale suddivisione amministrativa del territorio, le località che furono maggiormente colpite oggi si trovano nelle attuali province di Isernia e di Campobasso; in misura minore, in quelle di Benevento e di Avellino. Effetti meno distruttivi, ma comunque gravi, interessarono anche centri delle attuali province di Caserta, Napoli, Foggia, Salerno e L’Aquila.
Il terremoto era stato preceduto il giorno e la notte del 25 luglio da alcune scosse percepite di bassa intensità avvertite in varie località, colpite poi dalla scossa principale, che accadde lo stesso giorno, alle ore 22.00 locali. Questa scossa più violenta fu percepita della durata di circa 45 secondi e fu disastrosa per una quarantina di paesi e villaggi del vallo di Bojano e dell’area montuosa che si estende da Isernia a Campobasso.
MORTI: Le vittime, secondo le fonti ufficiali governative, furono complessivamente 5.573 e i feriti 1.583, in un’area che contava circa 205.000 abitanti.
Nei giorni successivi la scossa più forte, le repliche furono frequenti e sentite giornalmente fino al mese di dicembre 1805. Le più forti furono sentite il 29 luglio, il 4, 6, 9, 15, 20, 23, 24, 25 e 29 agosto, il 2 e il 12 settembre, l’8 dicembre 1805; inoltre il 30 maggio e il 2 giugno del 1806. La sequenza è attesta per un anno.
L’economia agricola dell’area colpita era estremamente arretrata e povera. La scossa avvenne nel periodo del raccolto e ciò peggiorò notevolmente i danni economici.
Quasi tutti i paesi colpiti subirono anche rapine e furti da parte di bande di saccheggiatori, che approfittavano dello stato di abbandono e di distruzione delle abitazioni. Per settimane la popolazione rimase accampata nelle campagne in rifugi di fortuna.
Gli effetti più gravi
I paesi più colpiti furono quelli dell’area del Matese e del Sannio, nella parte centro-meridionale dell’attuale provincia di Campobasso. Danni un po’ meno gravi colpirono i paesi della valle del Trigno e del medio tratto della valle del Biferno, nella fascia pede-appenninica del versante adriatico molisano.
Otto paesi risultarono totalmente distrutti, con effetti che raggiunsero il grado X MCS. In provincia di Campobasso furono descritti come del tutto atterrati Baranello, con 296 vittime e 204 feriti; Guardiaregia, con 202 vittime e una quarantina di feriti; San Massimo, dove fu distrutta la parte bassa dell’abitato; San Polomatese, dove tutte le poche case rimaste in piedi furono dichiarate inabitabili (128 morti e circa 20 i feriti).
In provincia di Isernia furono distrutti Cantalupo del Sannio, con circa 220 vittime e 42 feriti; Carpinone, con una cinquantina di vittime e 49 feriti; Frosolone, dove si contarono un migliaio di morti e 46 feriti su una popolazione di circa 3.800 abitanti. Il terremoto colpì con effetti devastanti anche Castelpagano, nell’attuale provincia di Benevento, dove solo tre case rimasero in piedi e si contarono 159 vittime e 18 feriti.
In una trentina di altre località, fra cui Isernia e Campobasso, ci furono estese distruzioni e danni gravissimi, con molti crolli, totali e parziali, di edifici (effetti compresi fra i gradi VIII e IX-X MCS). In molti di questi paesi, sviluppati su con forti differenze altimetriche, solo una parte dell’abitato crollò o riportò comunque gravissime distruzioni, mentre la restante parte (in alcuni quella posta più in alto, in altri quella pianeggiante) fu meno colpita.
A Bojano, ai piedi del massiccio del Matese, la parte bassa del paese crollò in gran parte, mentre fu relativamente meno danneggiata la parte alta, dove comunque le case divennero quasi tutte inabitabili. Il terremoto danneggiò gravemente il palazzo vescovile, il seminario, il monastero, la Cattedrale e tutte le dodici chiese del paese- Nel cimitero le croci piantate nel terreno furono ritrovate in una diversa posizione rispetto a quella originaria. I morti furono 124.
A Campobasso crollò circa un terzo degli edifici e la maggior parte dei rimanenti furono inabitabili. Gravemente colpito fu il patrimonio storico architettonico: la chiesa arcipretale di Santa Maria Maggiore fu lesionata, gravemente danneggiati la chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie e quello di Santa Maria della Libera.
A Isernia solo 1/10 delle costruzioni non crollò, ma minacciava comunque di cadere. Emerge un’anomala distribuzione degli effetti, concentrati nella parte più elevata dell’abitato, mentre nella parte sud dell’abitato furono danneggiate prevalentemente le chiese, i monasteri e gli edifici di maggiori dimensioni, più dell’edilizia civile minore. Su una popolazione di circa 5000 residenti, ci fu un migliaio di morti.
A Sassinoro, nella valle del Tammaro, alle falde del Matese, le poche case rimaste in piedi divennero tutte inabitabili, e così anche a Fragneto Monforte, a Reino a Colle Sannita.
A Napoli, che all’epoca aveva circa 500.000 di abitanti, si aprirono lesioni nei muri e ci furono danni diffusi a molti edifici e chiese. Alcune case crollarono, altre divennero inabitabili e solo poche rimasero illese. Gran parte delle abitazioni dovettero essere puntellate, altre demolite.
A Caserta fu danneggiata la Reggia.
La violentissima scossa del 25 luglio causò molti effetti, descritti in dettaglio dai contemporanei. Lunghe spaccature, sprofondamenti ed avvallamenti nel terreno e cadute di massi interessarono un’ampia regione, anche al di fuori dell’area dei massimi effetti. Molti alberi furono sradicati o spaccati dalla violenza delle scosse. Sui monti del Matese si aprirono numerose spaccature, da alcune delle quali fu osservato fuoriuscire del fumo nero maleodorante. Fiamme o materiale fiammeggiante fu visibile sulla sommità del monte Frosolone.
Notevoli anche gli effetti sul regime acquifero, sia prima sia dopo il terremoto: molte acque sorgive aumentarono di temperatura, mentre altre si essiccarono; le acque di molti corsi d’acqua apparvero intorbidate e aumentate di volume.
Altre fratture si aprirono nella zona alle falde del Matese: a Guardiaregia (Campobasso) se ne formò una particolarmente lunga che solcava tutta la roccia su cui sorge il paese.
A Bojano, nella pianura sottostante, il giorno precedente il terremoto furono osservati un aumento di temperatura delle acque sorgive e l’intorbidamento delle acque della sorgente del fiume Biferno, che attraversa la cittadina; dopo la scossa comparve una nuova sorgente e nelle campagne circostanti si formarono tre nuovi torrenti, che inondarono i terreni.
Nella zona di Calitri (Avellino), nel cuore dell’Irpinia, ad oltre 100 km dall’area dei massimi effetti, ci furono sollevamenti e sprofondamenti del terreno, tanto che gli alberi furono sradicati e parzialmente sommersi dalla terra: probabilmente si trattò di un movimento franoso innescato dal terremoto. Lo stesso avvenne poco lontano, in località Vallone dei
Monaci, dove si aprì anche una fessurazione lunga oltre un miglio, da cui uscirono delle esalazioni gassose.
Circa 17 giorni dopo la scossa più forte del 25 luglio il Vesuvio eruttò lava che, seppure in modo non impetuoso, arrivò fino al mare.
Contesto politico e amministrativo
Il terremoto del 1805 sconvolse il regno di Napoli in un periodo particolarmente delicato. Gli anni della restaurazione borbonica, dopo la breve parentesi della Repubblica Partenopea, stavano per finire: agli inizi del 1806 il Regno fu di nuovo occupato dai francesi. Ebbe inizio il cosiddetto “decennio francese” caratterizzato dallo svecchiamento dell’apparato di governo, in cui furono inseriti istituti amministrativi francesi.
Gli uffici governativi maggiormente coinvolti nelle opere di intervento e di ricostruzione furono la Regia Camera della Sommaria (l’organo preposto alla gestione attiva dell’amministrazione finanziaria) e la Segreteria di Stato di Azienda in Napoli (che aveva competenza su tutta l’amministrazione finanziaria dello Stato), presieduta da Luigi de’ Medici.