Frane e alluvioni nell’Ottocento meridionale: perché la storiografia le ignora, perché conoscerle oggi
di Walter Palmieri1
Frane e alluvioni hanno da sempre contrassegnato la storia del Mezzogiorno. La presenza della catena appenninica, che in molti tratti giunge a occupare persino gli spazi costieri, gli andamenti pluviometrici e, più in generale, la fragilità geologica – si pensi ad esempio ai depositi piroclastici fortemente instabili, che caratterizzano gran parte del paesaggio campano – rendono il territorio meridionale particolarmente esposto al rischio idrogeologico. Eppure, nonostante la frequenza di eventi disastrosi, segnalati sin dall’età romana, questa tematica ha ricevuto ben poca attenzione da parte della storiografia.
I motivi di questo scarso interesse vanno ricercati nel fatto che l’evento catastrofico – per sua natura improvviso e circoscritto nel tempo e nello spazio – non poteva essere spiegato e valutato mediante le categorie interpretative ideologizzanti e “progressiste” (sviluppo, arretratezza, etc.) che hanno lungamente dominato la ricerca e il dibattito storiografico soprattutto nel Mezzogiorno. Solo negli ultimi anni, con l’intensificarsi delle emergenze ambientali, è cresciuta una “domanda di storia” su questi fenomeni: recuperare informazioni sugli eventi franosi e alluvionali accaduti nel passato fornisce infatti un valido supporto all’elaborazione dei piani di bacino e all’individuazione delle mappe del rischio idrogeologico.
Le banche dati esistenti, elaborate prevalentemente dagli scienziati della terra e pertanto costruite su fonti contemporanee o comunque di agevole accesso, raramente però contengono dati anteriori al XX secolo. E’ dunque necessario colmare questa lacuna attraverso maggiori ricerche storiche sui fenomeni accaduti nel Mezzogiorno nei secoli precedenti.
Un primo punto da cui partire dovrebbe essere l’idea della pluralità dei dissesti idrogeologici. Una pluralità riferita non solo alle differenze esistenti tra eventi che, per loro natura, presentano una molteplicità di cause e, ovviamente, uno spettro molto ampio di conseguenze. Nel corso dei secoli, soprattutto in uno spazio così “fragile” come il sud d’Italia, è accaduta una tale varietà di eventi calamitosi, molti dei quali dei grandi disastri, che è difficile non coglierne le diversità. Eppure non è solo a queste diversità che si vuole alludere, e nemmeno alle sole differenze fisico-geologiche di questi fenomeni. La scelta di declinare al plurale, la scelta di parlare di “dissesti”, più che di “dissesto”, risponde a un’idea ben precisa: quella di confrontare le frane e le alluvioni accadute nel passato – un passato relativamente prossimo – con quelle che avvengono nel presente. Sono aree diverse o sono sempre le stesse? Perchè il rischio continua assilla il sud?
Ricercatore del CNR, dell’Istituto di Studi sulle Società Mediterranee ↩