La cura dell’assetto idrogeologico del territorio è un problema di Roma dalla sua fondazione, prova ne è la considerazione data alla Cloaca Massima come monumento posto quasi al pari del Capitolium. E come noto la Cloaca maxima non era una fogna, bensì un canale di drenaggio di importanza determinante per mantenere all’asciutto buona parte di Roma.
Che io sappia la prima menzione di una magistratura per il fiume Tevere rimonta ad Augusto, che nel quadro di una generale ristrutturazione degli organi tecnici dello Stato (come diremmo noi oggi) istituì non solo magistrati per la cura delle opere pubbliche, delle strade, delle acque, la prefettura urbana, vigili del fuoco, le milizie stazionarie (stazioni di polizia locale contro il brigantaggio come i nostri Carabinieri), ma anche il Curator alvei Tiberis (Svetonio, Vite dei Cesari, lib. XXXVII).
Lo stesso Svetonio ci testimonia che questo magistrato fu in effetti molto operativo e si dedicò ad imprese considerate memorabili come il “ripulire l’alveo del Tevere, che da tempo era ostruito dai detriti e ristretto per l’estendersi degli edifici (in alveo)” (lib. XXX).
Del resto pare che Augusto fosse particolarmente sensibile al tema dell’assetto idraulico del territorio se come testimonia sempre lo stesso Svetonio, anche in Egitto non si era sottratto dal far “ripulire dai suoi soldati tutti i canali in cui si riversa il Nilo, che erano ostruiti dal fango depositato dal tempo” (lib. XVIII). Evidentemente al corpo del Genio militare d’Augusto non deve aver certo impensierito, qualche anno dopo, il dover ripulire il Tevere!
Tiberio, come sappiamo, si trova a dover fare i conti con l’alluvione catastrofica del 15 d.C. (Tacito, Annales, I-76, 79). Riporto qui sotto il passo del mio articolo sulla centuriazione di Rieti, scritto in occasione del bimillenario di Vespasiano (Camerieri P. 2009a, La ricerca della forma del catasto antico di Reate nella pianura di Rosea, in Divus Vespasianus. Il Bimillenario dei Flavi. Reate e l’Ager Reatinus, Catalogo della Mostra, Rieti, pp. 39-48):
Di particolare interesse è l’alluvione del 15 d.C., della quale lo storico Tacito dà uno straordinario resoconto, che documenta la paralisi dello stato centrale nei confronti della periferia municipale italica in questi frangenti. Allo sgomento per la disastrosa piena del Tevere a Roma, che “al suo ritirarsi lasciò una vasta rovina di edifici e d’uomini”, segue immediatamente la nomina di due commissari, Ateio Capitone e Lucio Arrunzio, incaricati di formulare proposte. Quando questi, alla seduta successiva del Senato espongono provvedimenti concreti e radicali come la derivazione della Chiana in Arno, lo smorzamento delle piene del sistema Nera-Velino mediante frazionamento in canali multipli dei due corsi d’acqua e l’allagamento della piana di Reate, a guisa di gigantesca cassa d’espansione, le commissioni dei delegati dei municipi e delle colonie si oppongono compatte: “fossero le insistenze dei coloni, o le difficoltà stesse dell’opera, o gli scrupoli religiosi, il fatto è che si finì con l’accogliere il parere di Pisone, di non fare nulla”.
Ma Tiberio, ancora al suo secondo anno di regno, non esita a sostituirsi all’inerte Senato, paralizzato dai veti delle municipalità (Dio Cass.57, 14), istituisce d’imperio (è proprio il caso di dire) un collegio di cinque senatori con l’incarico di regolarizzare la portata del fiume affinché il suo livello non si alzasse troppo durante l’inverno e non si abbassasse eccessivamente durante l’estate. Evidentemente le opere idrauliche giudicate necessarie a stabilizzare le piene del Tevere erano ormai ritenute di tale impegno che tanto valeva potenziarne pure la navigabilità, rendendola permanente con sistemi di chiuse e casse d’accumulo, che avrebbero appunto assolto ad entrambe le esigenze canalizzando totalmente il bacino. Attribuisce inoltre alla magistratura istituita da Augusto nuove più specifiche competenze trasformandola in Curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum, con il compito non soltanto di “manutenere” l’alveo, ma anche di curare le ripe sulle quali le strade d’argine garantiranno il traino dei natanti in risalita.
Per renderci meglio conto dell’importanza e del prestigio di questa magistratura basti pensare che se ne fregia pure Plinio il Giovane, parlando del suo Cursus honorum. Non è forse un caso che lo stesso Plinio, magistrato del Tevere, solesse risalire il Tevere in barca per recarsi nella sua villa di Città di Castello, ed esiste pure una testo epigrafico in cui viene citata questa sua carica ad Hispellum, città nei pressi di Bevagna (Umbria), dove infatti aveva sede il più interno dei porti fluviali del bacino del Tevere.
Gli studi che stiamo conducendo stanno facendo riaffiorare con nostra grande sorpresa, le tracce ormai labili ma certe di queste opere straordinarie per il tempo, che ora andrebbero anche raffrontate e comparate con quanto gli stessi romani stavano probabilmente realizzando anche in Provenza ed in altre parti dell’Impero. Inoltre l’analisi della serie storica conosciuta delle alluvioni del Tevere nell’antichità, sembra denunciare una minor frequenza degli eventi proprio dopo il 15 d.C. e per almeno due secoli. Segno che se si interviene con decisione e senza compromessi qualcosa risultato concreto lo si ottiene.
Nulla di nuovo sotto il sole! E per renderci conto di quanto ci si imbatta sempre non solo negli stessi problemi, ma anche in certe ricorrenti posizioni preconcette, riporto un piccolo passo del senatoconsulto dell’anno 15 d.C., che sembra fare riferimento alla posizione dei moderni ambientalisti nel chiedere che il fiume sia lasciato libero comunque di andare dove vuole, senza alcun intervento di “contenimento”. Posizione strumentalmente assunta dalle delegazioni dei municipi e delle colonie invitate a esprimere il loro parere al Senato: “… all’interesse degli uomini aveva nel modo migliore provveduto la natura, col dare ai fiumi le proprie rive e il proprio corso, e come la sorgente loro, così la fine del loro cammino”. Che ve ne pare?
Quale doveva essere il livello di gravità di un evento perché il senato romano legiferasse?
Sinceramente non saprei cosa rispondere in modo esatto: bisognerebbe analizzare attentamente tutte le fonti dal nostro punto di vista. Sembra che comunque la principale preoccupazione di Roma in tutte le epoche abbia riguardato proprio le piene stagionali del Tevere. Dobbiamo infatti considerare che gli argini furono costruiti solo a partire dal 1870, e la città che era in media 2 o 3 metri più bassa dell’attuale, sorgeva ai piedi dei colli poco al di sopra della quota del fiume. Si può solo ipotizzare che Roma agli inizi avesse tutta l’area dell’attuale Flaminio ed il Campo Marzio come cassa d’espansione del Tevere a monte.
Successivamente Giulio Cesare ideò il suo famoso piano di rinnovamento urbanistico di Roma ipotizzando la deviazione del Tevere perché voleva espandere la città in pianura proprio nella zona del Campo Marzio. Ma per vari motivi ciò gli fu impedito. Ma come è facile immaginare non gli fu impedito di certo di edificare lo stesso quella che divenne ben presto la più bella e moderna zona di Roma imperiale, senza la salvaguardia idrogeologica costituita dalla deviazione del corso d’acqua mai attuata neppure successivamente. Ed infatti qualche anno dopo il teatro di Balbo fu inaugurato entrando in barca.
Ciò deve aver tolto al fiume l’unica valvola di sfogo e avere incrementato enormemente il livello di pericolosità dell’onda di piena che, non dimentichiamocelo, arrivava a Roma prima dei messaggeri a cavallo!
C’era un coinvolgimento diretto con le amministrazioni locali, o gli interventi pubblici venivano “calati dall’alto”?
Contava e come il parere delle “autonomie locali”! Che all’epoca erano anche più autonome di oggi. Inoltre tieni conto che i magistrati municipali avevano diritto di voto a Roma in rappresentanza delle comunità italiche che dal 90 a.C. avevano la piena cittadinanza romana (quindi cittadino romano era sinonimo di cittadino italiano, e viceversa, potremmo dire, fino a che non ci sentono i giuristi), e Augusto (sempre lui!), aveva pure escogitato un sistema che ne agevolava enormemente la partecipazione al voto, ossia il voto per posta con plico sigillato! (Svetonio, Vite, XLVI).