Cominciò la notte dell’Epifania del 1709 con un forte vento di tramontana che causò un improvviso calo della temperatura. A Venezia i canali della laguna si ghiacciarono, i fiumi divennero strade su cui si passava con i carri. Seguirono sessanta giorni di temperatura glaciale, ci furono morti e danni gravissimi.
Il grande freddo giunto in Europa Occidentale e nel Bacino del Mediterraneo a partire dalla notte dell’Epifania fa risultare ancora oggi l’inverno del 1709 come il più gelido degli ultimi cinque secoli per molte regioni. Un inverno mitico, definito come “Il grande inverno” o “l’invernone” [Bonardi 1998], dalla durata eccezionalmente lunga: in alcune aree europee si ebbe un timido riscaldamento del clima solo dopo la prima metà di marzo. Per circa un mese, dopo l’ondata di gelo dei primi giorni di gennaio, la temperatura dell’aria rimase, anche a quote basse, costantemente sottozero, con punte minime notturne anche di -20°C.
Il rigore estremo del gelo fu dovuto alla presenza di un anticiclone di tipo siberiano, localizzato sul mar Baltico, il quale dirigeva sul suo fianco meridionale un flusso d’aria polare proveniente da Est e diretto su gran parte del continente europeo, Spagna inclusa. Gli effetti del gelo si fecero sentire fino a Napoli e Cadice, si congelò anche l’Ebro e il Bacino del Mediterraneo non fu risparmiato dai rigori del freddo, ma soffrì di un inverno rude in maniera simile all’Europa continentale. Mentre restarono escluse da questa incredibile ondata di freddo l’Islanda e la Groenlandia all’estremo Nord-Ovest e la Turchia a Sud-Est (Le Roy Ladurie 2004).
Lasciò profonda impressione nei contemporanei, mai a memoria d’uomo si ricordava un gelo tanto pungente, e disastrosi furono i suoi effetti, tanto da diventare la pietra di paragone per tutti i successivi episodi di inverni gelidi. Moltissimi sono i frammenti, i ricordi che si ritrovano nelle cronache e nella letteratura del tempo.
Un vento polare arrivò a spazzare le coste orientali italiane nella notte dell’Epifania e già nella mattina del 7 gennaio i veneziani al loro risveglio trovarono i canali della laguna ghiacciati. Nei tre giorni successivi continuò a nevicare incessantemente rendendo le strade impercorribili, i trasporti erano bloccati e la normale vita cittadina sconvolta. L’intera pianura padana risultava sommersa dalla neve. Ancora il 26 gennaio Venezia lamentava il proseguire di temperature particolarmente rigide. Ben presto cominciarono a scarseggiare le provviste e le cronache riportano che contadini e altre persone della Terraferma portavano a piedi sui canali ghiacciati pane e generi alimentari alla città su richiesta del Governo Serenissimo.
A Verona si ghiacciò l’Adige e ancora il 28 febbraio le strade erano impraticabili e il freddo definito eccessivo. Cominciava a scarseggiare anche la legna da ardere per riscaldarsi. Molti fiumi gelarono, compreso il Po e il freddo era così acuto che lo strato di ghiaccio sulla superficie del fiume raggiunse i 70 cm e sopra vi potevano transitare uomini, cavalli e carri. Nelle campagne gli alberi si spaccavano letteralmente per il freddo e le coltivazioni di maggior pregio come viti, ulivi e noci furono gravemente danneggiate risultando praticamente annientate in molte zone (Finzi 1986). Ad esempio in Francia meridionale, in Toscana e lungo le pendici dei laghi pedemontani le coltivazioni di ulivo, vite e agrumi si presentarono, al termine dell’ondata di gelo, fortemente modificate in quantità e qualità. In molti casi le estensioni coltivate precedenti al 1709 non vennero mai più recuperate, spesso anche perché sostituite da nuove coltivazioni più remunerative economicamente come il gelso per la produzione della seta, o dai cereali.
La morsa di gelo proveniente da Est strinse l’intera Europa Occidentale. I porti di Genova e Livorno erano bloccati per le mareggiate e i venti fortissimi, molte furono le imbarcazioni danneggiate. Le cronache provenienti dalle città del Centro-Europa, Lucerna, Amburgo, Bruxelles, Vienna registrano ovunque fatti analoghi. Il freddo gelava i fiumi e i porti (il Reno a Colonia, l’Elba ad Amburgo, la maggior parte dei porti del Baltico), le strade impraticabili, la popolazione pativa il freddo all’interno delle proprie abitazioni in cui molti rimanevano forzatamente bloccati. A Londra, la regina provvide all’acquisto di carbone da distribuire ai poveri. L’incubo della carestia si affacciava pericolosamente. A Napoli, il 12 febbraio, periodo di Carnevale, la città decise di prorogare la novena di San Gennaro per impetrare l’arrivo delle imbarcazioni con grani e olio; il freddo aveva danneggiato le colture e si avvertiva la scarsità di alimenti.
La carestia divenne reale nel corso di febbraio; i raccolti dell’estate precedente erano risultati scarsi ovunque, mentre i trasporti rimanevano paralizzati per il gelo che non accennava a diminuire. I prezzi dei generi alimentari schizzarono alle stelle e cominciò un periodo di elevatissima mortalità.
Letteralmente si moriva di freddo. Le malattie bronco-polmonari dovute al gelo si trasformavano in epidemie e si avvertivano forti anche gli stenti della fame. Le Roy Ladurie stima per la sola Francia un deficit demografico, nel biennio 1709-1710, di 800.000 persone, 600.000 i morti e 200.000 le mancate nascite. Nella Francia d’oggi corrisponderebbero a 1.800.000 decessi, un numero maggiore anche di quelli registrati nel corso del primo conflitto mondiale del 1914-18 (Le Roy Ladurie, 2004).
L’inverno del 1709 si abbatté come un flagello sulle popolazioni dell’Europa Occidentale, un’ondata di freddo mai vista a memoria d’uomo e mai più ripetutasi in quelle dimensioni nei successivi cinque secoli. Per molti storici del clima viene fatta coincidere con l’apice massimo della Piccola Età Glaciale. Solo una primavera tardiva, e l’arrivo dei nuovi raccolti pose fine alla coltre di gelo e alla carestia che avvolse l’Europa per tre lunghissimi mesi tra il gennaio e il marzo 1709. Ma fu certo di oltre un milione di morti il pedaggio che dovette pagare l’Europa ai rigori del terribile inverno.
BIBLIOGRAFIA
Luca Bonardi, “Le Alpi e la montagna italiana di fronte alla “crisi” climatica dei secoli XVI-XIX”, contenuto in “Montagne a confronto, Alpi e Appennini nella transizione attuale” a cura di Guglielmo Scaramellini, Torino (ed. Giappichelli), 1998, p. 73
Emmanuel Le Roy Ladurie, “Histoire humaine et comparée du climat, canicole et glaciers XIII-XVIII siècles”, Fayard, 2004, pp. 509-518
R. Finzi (a cura di), “Le meteore e il frumento. Clima, agricoltura, meteorologia a Bologna nel ‘700, Bologna 1986, p. 60-61 e 73.