terremoti e archeologia
Per allargare la finestra temporale di osservazione di attività sismica è necessario fare ricorso a dati di natura diversa. Dalla sismologia strumentale si possono avere informazioni solo per gli ultimi 40 anni, un arco di tempo non rilevante per conoscere i caratteri sismici di un’area.
Dalle fonti scritte, quindi dalla sismologia storica, si possono avere informazioni su terremoti accaduti negli ultimi due mila anni (di qualità e quantità ovviamente diverse per periodi e aeree). Le fonti archeologiche possono allargare ulteriormente la finestra del tempo di osservazione, aggiungendo nuovi elementi su terremoti non attestati o scarsamente attestati da fonti scritte. Le fonti archeologiche consentono quindi potenzialmente di poter conoscere una storia non scritta, che può evidenziare, fra i tanti elementi che possono essere messi in luce, anche tracce dirette di eventi distruttivi, come i terremoti. Benché non ci sia ancora un vero e proprio ambito disciplinare, non c’è dubbio che i dati archeologici contribuiscono a evidenziare importanti tracce di attività sismica. Questo settore di ricerca ha avuto negli ultimi decenni un notevole sviluppo in area mediterranea. Numerosi lavori di ricercatori italiani, turchi e greci, del settore scientifico, sono presenti in importanti riviste internazionali: elemento molto positivo, ma che forse non favorisce lo scambio multidisciplinare con gli archeologi italiani, che difficilmente leggono tali riviste. Il dialogo è tuttavia in costruzione. In Italia ci sono aree archeologiche di particolare interesse non solo per la sismologia, ama anche per la vulcanologia storica.
L’archeologia è interessata ai terremoti da almeno due secoli, ma solo da alcuni decenni sono stati realizzati approcci specifici finalizzati alla sismologia. Questo tema ha trovato attenzione in ambito mediterraneo sia per i caratteri sismici di quest’area, sia per l’importante presenza di vestigia antiche. Fino agli anni ‘70 del Novecento gli studi in questo settore si presentano come tentativi un po’ generici di rilevare tracce di terremoti – o elementi ritenuti tali – su monumenti antichi: per esempio De Rossi (1874) e Lanciani (1918) per Roma, Willis (1928) per la Palestina, Sieberg (1932) per l’Egitto antico. A partire dall’inizio degli anni sessanta del Novecento vi è stata una sensibile crescita di interesse, che ha definito l’approccio archeologico ai terremoti come archeosismologia e geoarcheologia, d’interesse sia per i sismologi sia per geologi, con tagli e sviluppi molto differenziati. Ma se questo è vero in modo molto schematico, occorre tenere presente che l’archeologia, attraverso le sue varie specializzazioni, è soprattutto un metodo di lettura e di interpretazione della storia di territori, delle costruzioni (o di tracce di esse) e di manufatti.