I FORTI TERREMOTI NELLA STORIA D’ITALIA
“IL PESO ECONOMICO E SOCIALE DEI DISASTRI SISMICI NEGLI ULTIMI 150 ANNI (1861-2011)”
di Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise
Bononia University Press, 2011 – www.buponline.com
sintesi a cura di Guido Chiesura
in collaborazione con il sito www.darwingeologo.com
copyright BUP e Centro EEDIS
Rovine sismiche ereditate e normative
antisismiche perdute: 1851 – 1859
I terremoti sono eventi naturali. Diventano disastri quando intercettano l’attività antropica.
In particolare, il rapporto tra l’energia rilasciata e gli effetti causati in superficie è strettamente legato alle caratteristiche del mondo abitato, soprattutto alla qualità delle costruzioni.
Nel “PROLOGO” del libro da cui sono tratti i testi e le immagini, il Centro EEDIS presenta una lunga riflessione che fa pensare: perché la nostra società non vuole ricordare la storia dei terremoti?
“Ci sono storie che si dimenticano, o che non si vogliono ricordare, o che comunque non entrano nei manuali di storia. I manuali selezionano eventi e fissano interpretazioni, dispongono la storia in una sequenza di fatti in cui il motore è sempre l’uomo. I terremoti distruttivi sono una storia che nessuno racconta: la natura è il motore dell’evento, e solo l’interazione con quanto, dove e come è costruito sul territorio determina gli effetti. Ecco i disastri sismici. Imprevedibili, distruttivi, costosi, hanno pesato e pesano sulle economie e sulle società colpite. In qualunque tempo siano accaduti, hanno modificato la vita degli individui e delle famiglie, cambiato relazioni sociali, forme urbane, modificato o abbattuto antiche vestigia, mutato reti insediative, segnando talora di rovine e abbandoni il paesaggio italiano. I disastri sismici hanno fatto sempre pensare, discutere, ipotizzare: per capire come avvengono, come si propagano, come ci si può difendere. Ma anche quando, in tempi relativamente recenti, questi elementi sono divenuti dati scientifici, i risultati della ricerca e del pensiero, le conoscenze sull’accadimento di questi eventi nel lungo periodo sono stati noti per lo più solo fra gli addetti ai lavori; non sono stati sufficientemente diffusi nel sapere e nella cultura correnti, non si è creata una consapevole e condivisa memoria del rischio. I terremoti sono stati considerati “fuori dalla storia” dei fatti ufficiali, eppure una storia l’hanno fatta: la fatica della sopravvivenza e delle ricostruzioni, la perdita di vite, sfide umane e di beni, le partenze dai luoghi rovinati, e poi dispersioni, emigrazioni, spopolamenti o ritorni, ma anche speculazioni, progetti realizzati o decaduti, norme eluse perdute. Una storia che ha segnato il Paese da secoli, in un divario fra nord e sud forse meno netto di quanto si potrebbe supporre, se si escludono la Calabria e la Sicilia orientale.Questa storia è ancora in un cono d’ombra, non divulgata e non riflettuta. Per queste ragioni è stato realizzato questo libro: per raccontare i primi 150 anni della storia d’ Italia da un punto di vista diverso e non definitivo, perché i forti terremoti, fenomeni naturali dovuti alla vita stessa della Terra, continueranno ad accadere. Sono i disastri sismici, invece, che potrebbero essere fermati”. |
Nei dieci anni precedenti la sua unificazione l’Italia è colpita da diversi disastri sismici. Il regno di Napoli è travolto da distruzioni e rovine nel 1851, 1853 e soprattutto nel 1857; lo stato della Chiesa nel 1859. Il nuovo governo del regno unito sottovaluta l’importanza economica e sociale di quegli impatti. Una scia di povertà, malcontento e depressione economica segnerà quelle aree per molti decenni. Le ricostruzioni mancate sono un’occasione perduta del nuovo il governo, che azzera regole enorme antisismiche varate dai Borboni e da Pio IX e abbandona pratiche amministrative appena avviate per il controllo della qualità dell’edilizia.
La sfida perduta delle ricostruzioni
Nel regno di Napoli – governo dei Borboni
Il regno unificato d’Italia, iniziato nel 1861, si trovò a dover fronteggiare le rovine causate da quattro importanti eventi sismici accaduti pochi anni prima nel regno di Napoli, governato dai Borboni, e nello stato della Chiesa, governato da Pio IX. Furono disastri importanti, i cui impatti economici e sociali e le cui ricostruzioni pesarono per decenni sulle popolazioni colpite. Il terremoto del 14 agosto 1851 colpì la Basilicata settentrionale e in particolare la zona del Vulture; quello del 9 aprile 1853 colpì la Campania meridionale; il terremoto del 16 dicembre 1857 fu un evento devastante di elevata energia che portò distruzioni e danni nei paesi della Val d’ Agri, del Vallo di Diano, in gran parte della Basilicata e del salernitano. Questi tre terremoti lacerarono non solo gli edifici, ma anche il tessuto sociale e la fiducia degli abitanti: l’avara e burocratica macchina amministrativa borbonica, in un contesto di controllo poliziesco dell’ordine pubblico motivato da ragioni politiche, lasciò quelle terre desolate e quasi prive di risorse per le ricostruzioni, e per di più prive di regole enorme.
Nel 1851 (14 agosto) Melfi e Barile furono quasi rase al suolo; morirono 660 persone di cui 440 nella sola Melfi (M = 6,4 – I0 = X)1, dove crollarono tutti gli edifici pubblici, privati e di culto.
A Rapolla e Rionero in Vulture i pochi edifici non crollati dovettero essere demoliti. Danni gravi si registrarono a Venosa, Atella, Lavello, Ripacandida. Vari rapporti ufficiali e relazioni scientifiche del tempo contengono informazioni puntuali sui danni subiti in molte località, sugli effetti nel terreno e nel regime idrologico . Nella Capitanata (l’attuale provincia di Foggia) i danni maggiori si ebbero ad Ascoli Satriano (dove crollarono quasi completamente la Chiesa di Santa Lucia e il palazzo vescovile), Bovino, Candela, Cerignola. In Irpinia la località più danneggiata fu Monteverde, dove la cattedrale e una cinquantina di abitazioni rimasero gravemente danneggiate.
Con il terremoto del 9 aprile 1853 (M = 5,6 – I0 = VIII) fu colpita l’Irpinia meridionale: i danni maggiori si ebbero a Caposele (200 case crollate), Calabritto, Lioni, Senerchia, Quaglietta (Avellino).
Il terremoto del 16 dicembre 1857 (M = 7,0 – I0 = XI) colpì, con tre scosse micidiali, vaste zone della Basilicata e la parte meridionale della Campania, in particolare la provincia di Potenza e la zona centro-orientale di quella di Salerno. I danni maggiori si ebbero nelle zone più alte.
Il maggior numero di vittime si ebbe nei comuni di Montemurro, Grumento Nova (allora Saponara), Viggiano, Tito, Marsico Nuovo, Polla: per la provincia di Potenza furono censiti 9.732 morti e 1.207 nella provincia di Salerno. L’ampiezza e la ubicazione di danni furono resi pubblici a Napoli sette giorni dopo l’evento.
Precarietà economica, forte vulnerabilità dell’edilizia (vecchie case in sasso, ciottolo o pietrisco), mancanza quasi totale di vie di comunicazione sono i principali elementi che concorsero al drammatico scenario del terremoto del 16 dicembre 1857.
Stato della Chiesa
Il 22 agosto 1859, un forte terremoto ((M = 5,8 – I0 = IX) colpì Norcia e la Valnerina, in Umbria, allora appartenenti allo stato della Chiesa. Norcia subì danni gravissimi e crolli diffusi, e in particolare la distruzione di due interi quartieri posti sul pendio della collina, le cui case, abitate dai cittadini più poveri, erano di pessima qualità.
Il patrimonio ecclesiastico fu estesamente danneggiato: il palazzo vescovile e l’ospizio delle Orfane crollarono parzialmente: sette chiese e tre conventi divennero pericolanti; crollarono in parte anche il Palazzo comunale e del Governo. Delle 676 case che componevano l’abitato di Norcia, 195 (29%) crollarono completamente; le case che subirono meno danni furono quelle che si trovavano nel centro abitato e costruite su terreno tufaceo. I fabbricati industriali, per la maggior parte concerie e lanifici, erano completamente distrutti. Gli ingegneri pontifici rilevarono che le case più danneggiate erano quelle di edificazione più recente, con muri sottili di ciottoli di fiume privi di superfici piane su cui potesse fare presa il cemento, quindi slegati uno dall’altro. Dopo un attento rilievo dei danni furono predisposte dal governo di Pio IX, per la prima volta, importanti normative edilizie per la ricostruzione di Norcia, redatti da una commissione con l’apporto fondamentale dell’architetto Luigi Poletti (1792-1869) e dell’astronomo gesuita Angelo Secchi (1818-1878). Il vecchio regolamento edilizio fu sostituito il 28 aprile 1860 da una nuova legge edilizia, ma i vincoli posti furono prima osteggiati dal consiglio comunale in un incredibile braccio di ferro con l’amministrazione pontificia, poi abbandonati dal nuovo governo italiano. L’avere smarrito questa innovativa legge edilizia costò caro alla popolazione umbra, colpita in seguito da altri disastrosi terremoti. Fu un’altra occasione perduta.
Bibliografia essenziale: G. Ferrari (a cura di) Viaggio nelle aree del terremoto del 6 dicembre 1857, 6voll. 3 DVD, SGA, Bologna, 2004-2009.
1 Io = Intensità epicentrale; M = magnitudo equivalente; I = Intensità al sito in gradi della scala MCS (Mercalli Cancani Sieberg), che classifica gli effetti ci un terremoto in un contesto costruito e abitato.
Effetti complessivi dei quattro forti terremoti accaduti pochi anni prima dell’Unità d’Italia:
14 agosto 1851, 9 aprile 1853 e 16 dicembre 1857 nel Regno delle due Sicilie, e il 22 agosto 1859 nello stato della Chiesa.
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