Qual è la sicurezza possibile?
I disastri sismici in Italia negli ultimi 150 anni.
Qual è la sicurezza possibile?
Salvatore D’Agostino, Università di Napoli, Facoltà di Ingegneria,
presidente del Centro Interdipartimentale per i Beni Culturali e promotore
La costituzione del “Centro euro-mediterraneo di documentazione Eventi Estremi e Disastri”, voluto dall’infaticabile dedizione di Emanuela Guidoboni alla ricerca storico-scientifica, rappresenta, per tutti i ricercatori, pensosi del rapporto fra ricerca scientifica–sviluppo tecnologico e società, un luogo emblematico per stimolare un inusuale confronto scientifico e culturale, dal quale si auspica possano emergere nuove prospettive di confronto tra i diversi specialisti, chiamati ad uscire dal loro recinto tecnico, e i cittadini, chiamati ad acquisire un profondo cambiamento culturale nell’evoluzione e gestione del mondo abitato. Proprio a questo tema ci sospinge, con grande sapienza e profonda documentazione, il volume di Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise “Il peso economico e sociale dei disastri sismici in Italia negli ultimi centocinquanta anni (1861-2011)”.
Un lungo, impressionante viaggio nel tempo, tanto nelle sistematiche tragedie, quanto nelle sistematiche sconfitte italiane.
La ricerca ha una cogente attualità in un momento storico nel quale gli addetti ai lavori propagandano, con accademica pervicacia, un’esigenza di sicurezza ben lontana delle condizioni strutturali di un Paese devastato, nell’ultimo secolo, da un incontrollato sviluppo territoriale, del quale i cittadini prendono rapida e dolorosa coscienza solo nel verificarsi di eventi estremi.
Ci si riferisce in particolare al grave problema della sicurezza del patrimonio costruito e a una dicotomia sempre presente tra le normative, troppo spesso astratte, e la indifferenza dei cittadini verso la manutenzione ordinaria, ma ancor più verso la prevenzione sismica e il dissesto idrogeologico.
Un problema altrettanto grave è quello della conservazione del patrimonio monumentale e recentemente anche di quello archeologico; in particolare si sottolinea l’accanimento tecnico-giuridico per i crolli di Pompei e le gravi preoccupazioni per la conservazione scientifica dell’antica città. Pretendere di mettere in sicurezza i ruderi archeologici, secondo una concezione pienamente tecnica, è un palese assurdo storico, che tende a cancellare il loro profondo valore di documenti dell’archivio di storia materiale dell’antichità. Queste complesse problematiche possono essere concretamente affrontate con un lungo processo che costituisce di per sé un cambiamento di strategia.
E’ necessario diffondere nella società una cultura della sicurezza possibile, in armonia con la conservazione e le esigenze socio-economiche. E’ un compito non facile ma possibile.
Del resto altre battaglie che riguardano la salute si sono rivelate vincenti, dalla lotta contro il fumo alla diffusa prevenzione del cancro. Bisogna far sentire ad ogni cittadino la necessità di curare la propria casa e pretendere dallo stato di curare il proprio patrimonio, limitando così le tante vittime e i tanti danni che la passiva attesa degli eventi estremi continuerà a provocare. Tutto ciò è indispensabile ed urgente perché è sempre più impensabile che lo Stato riesca a fronteggiare compiutamente eventi estremi che, con ordinaria frequenza, flagellano l’Italia.
E’ indispensabile che i cittadini prendano coscienza che i sismi, così come le alluvioni, sono fenomeni ricorrenti a ciclo breve già rispetto alla vita umana, ma ancor più rispetto a quella proprietà immobiliare che si pretende stabile e a indefinita durabilità. E’ compito arduo perché nella società italiana il patrimonio immobiliare è considerato il bene supremo del Paese. Il diritto di proprietà ha una forza cogente che tende a oscurare gli altri diritti, spesso ponendosi in aperto conflitto con il controllo dello Stato e lo sviluppo armonico del territorio.
Un protagonista essenziale, per la formazione di una cultura della conservazione e della prevenzione che si traduca in un onere economico non più procrastinabile, è il pianeta ingegneria, che deve acquisire una ben più profonda coscienza delle ricadute del suo procedere entro la nostra società. Proprio per questo, negli ultimi decenni, dopo il sisma dell’ 1980-81, si è andata sviluppando, non senza difficoltà, l’Ingegneria per i Beni Culturali¹ che mira a far propri i principi fondamentali della conservazione, ed ha prodotto recentemente delle Raccomandazioni², per stimolare una cultura interdisciplinare consapevole dei valori scientifici della conservazione, con particolare riferimento al costruito archeologico. Si va inoltre sviluppando la Storia dell’Ingegneria³ per promuovere una riflessione sull’evoluzione dello sviluppo tecnologico e delle mutazioni che esso induce nella società.
L’auspicio è che si determini un incontro non conflittuale tra le diverse prospettive tecnico-scientifiche ed economico-amministrative, al fine di convergere in un’unica cultura che, diffusa capillarmente nel Paese, dia luogo a un radicale cambiamento nella gestione del patrimonio costruito, promovendone miglioramento e manutenzione, rendendo così praticabile l’attuale “Utopia della Prevenzione”.
Un possibile scenario, da dibattere ed approfondire, sarà presentato nel prossimo aprile al IV Convegno di Storia dell’Ingegneria4.
2. D’Agostino S, Cairoli F.G., Conforto M.L. , Guidoboni E. – Raccomandazioni per la redazione di progetti e l’esecuzione di interventi per la conservazione del costruito archeologico. Cuzzolin Ed. Napoli 2009, consultabile sul sito www.cibec.it nella sezione attività;
3. www.aising.it;
4. Napoli, 16-18 Aprile 2012