Dario Camuffo: il Riscaldamento Globale (2)
Intervista a Dario Camuffo – seconda parte
(leggi prima parte)
Parliamo dell’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change: come lo consideri e cosa ne pensi?
Considero l’IPCC per quello che è, ossia un grande sforzo internazionale per produrre un panorama generale dello stato dell’arte più largamente condiviso e delle prospettive che potremmo attenderci.
Un sistema informativo autorevole e aggiornato per politici e utenti di vario tipo per dare loro la possibilità di valutare se i rischi (beneficio = rischio minore) valgono i sacrifici, e fino a qual punto. Non dobbiamo però dimenticare che l’IPCC significa in italianoGruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, e in quanto tale rappresenta un compendio concordato di pareri governativi, il che significa che non vi troveremo inclusi risultati minoritari, dissonanti o scomodi rispetto alle posizioni ufficiali. Non sono una sintesi scientifica, ma scientifico-politica. Troveremo solo posizioni convenzionali ufficiali, non il punto della situazione della ricerca, con una presentazione di tutti i risultati ottenuti da scienziati e altri esperti sul cambiamento climatico. Non troveremo particolare attenzione alle incertezze, ai punti meno chiari, a quelli su cui c’è meno accordo e alle ipotesi che meritano maggior approfondimento. In altri termini i rapporti IPCC (disponibili anche in rete) meritano di essere consultati e meditati, ma non sono da confondersi né con la Bibbia né con la punta dell’iceberg della ricerca.
Che idea hai del periodo caldo medievale in relazione al riscaldamento attuale?
Le nostre conoscenze sul periodo caldo medievale sono necessariamente basate su dati proxy perché le prime osservazioni di temperatura affidabili risalgono al periodo 1654-1670, eseguite nell’ambito della Rete Medicea organizzata dal Granduca di Toscana Ferdinando II.
I dati proxy sono diversi dalle osservazioni strumentali, non sono omogenei a queste e hanno un livello di incertezza molto maggiore. Hanno anche limiti diversi. Per esempio, le fonti storiche da documenti scritti sono una risorsa particolarmente utile e abbondante in Italia.
Tuttavia, per passare dalla lettura dei testi narrati a gradi Centigradi occorre prima indicizzare le descrizioni in forma qualitativa, raggruppandole in classi del tipo “caldo estremo” – “molto caldo” – “un po’ più caldo del normale” – “normale” – “un po’ più freddo del normale” -“molto freddo” – “freddo estremo”. In questo caso otteniamo una scala che va da +3 (caldo estremo) a –3 (freddo estremo) passando per 0 (= normale). Tuttavia, la suddivisione non è sempre chiara, talvolta è soggettiva o risente della soggettività del narratore, che potrebbe tendere a esagerare. In particolare lo 0 è la situazione normale secondo il testimone del tempo, che potrebbe essere molto diverso dal nostro normale. Inoltre, se non troviamo menzione di caldo o freddo, dobbiamo necessariamente interpretare il silenzio (o la mancanza di informazione) per normale =0.
In tal modo possiamo apprezzare la variabilità da anno a anno, ma non un trend crescente o decrescente. In ogni caso, una volta che le informazioni sono state indicizzate da +3 a –3, si può passare ai gradi Centigradi facendo questo esercizio per un periodo in cui si abbiano simultaneamente dati proxy e dati strumentali, in modo da far coincidere la distribuzione degli uni (per esempio la varianza) con quella degli altri. Questa è la calibrazione del sistema, che poi va validata facendo il test su un altro periodo in cui si abbia la compresenza dei due tipi di dati. Tuttavia, anche fatta un’ottima calibrazione e validazione, questa si può applicare correttamente agli autori analizzati, ma non certo agli scrittori di epoche molto precedenti, fortemente influenzati da fattori culturali, sociali e ambientali fortemente diversi.
In altri termini: preferirei essere più prudente sulla definizione di periodi precedenti perché le nostre conoscenze sono affette da un considerevole livello di incertezza e l’evidenza che si ottiene dai proxy potrebbe essere dovuta tanto a valori medi, quanto a un numero limitato di valori estremi che hanno caratterizzato certi fenomeni.
Non è chiaro quanto la nostra conoscenza sia condizionata da eventi noti in termini di livello medio o di frequenza nel ritorno. Non è chiaro nemmeno il paragone ieri-oggi, in quanto il territorio era molto diverso. Per capirci meglio, la temperatura dell’aria va misurata all’altezza di capannina, a circa 2 m d’altezza dal suolo. Oggi, gran parte del territorio italiano è stato bonificato, disboscato e molto suolo è coperto da cemento o asfalto. Chiaramente non ci possiamo attendere la stessa temperatura che avremmo trovato quando quello stesso luogo era acquitrinoso oppure forestato, nell’ombra sotto le chiome di alberi.
Ha più senso parlare di cambiamento climatico o di ambiente?
Certamente di entrambi! Non voglio banalizzare o eludere la risposta, voglio solo dire che non è così facile fare affermazioni e paragonare il clima di oggi con quello di ieri. E’ un qualcosa su cui mi sento di dover ancora lavorare molto, por poter dare una risposta seria.
Pensi che gli storici e gli archeologi potrebbero aggiungere nuovi dati, soprattutto in relazione all’area mediterranea sud-orientale, o le conoscenze sono già sufficienti?
I dati sono fondamentali e c’è bisogno di coprire molti buchi o dare una validità statistica maggiore a periodi poco documentati o oscuri. Tuttavia, oltre al numero dei dati interessa moltissimo la loro qualità. E’ necessario un lungo e paziente lavoro di validazione e controllo, e alla fine dare l’esatto peso e far presente tutta l’incertezza che questi dati hanno.
Paradossalmente un dato approssimativo, o poco preciso, anziché aiutarci a chiarificare un periodo può fare il contrario: generare leggende urbane che poi si tramandano creando periodi particolari. Per esempio, un certo periodo temporale potrebbe venire etichettato sulla base di qualche evento estremo avvenuto sì, ma per uno o pochi giorni, e che poco o nulla ha a che fare con l’andamento tipico (se ci si basa sulla frequenza o ripetitività degli eventi), o quello medio (se ci si basa sulle medie aritmetiche dei dati rilevati) del clima di un certo periodo. Sapere per esempio, sull’evidenza di documenti scritti o di resti archeologici, che vi è stato un vento fortissimo con effetti disastrosi può significare il semplice passaggio di una tromba d’aria in un giorno anomalo all’interno di un clima generalmente tranquillo, mentre talvolta si trova la generalizzazione che tutto il periodo è stato funestato da venti fortissimi. Nel caso di dati proxy l’incertezza è molto grande e l’approssimazione è a volte di gran lunga superiore rispetto a quella del segnale climatico vero e proprio. In altri termini: abbiamo bisogno di nuovi dati ma, soprattutto, di un lunghissimo lavoro per trasformarli in valori approssimativi di parametri climatici e di estrema prudenza nell’utilizzarli. Un dato nuovo in più è sempre un problema nuovo da risolvere: talvolta può essere utile, talvolta fuorviante.