Prevedibile|Imprevedibile: il dialogo tra discipline
Il 7 e 8 novembre 2013 nella sede dell’Istituto della Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro (Vibo Valentia) si è svolto un incontro di studio proposto dal Centro Euro-mediterraneo di documentazione eventi estremi e disastri in collaborazione con: Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento di Fisica e Astronomia, Sezione di Geofisica; il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Sezione di Geologia; l’Università della Calabria, Dipartimento di Studi Umanistici; l’Università di Torino, Centro Interdipartimentale sui rischi naturali “NatRisk”.
Una riflessione multidisciplinare sui disastri di origine naturale, un laboratorio di idee per confrontare esperienze scientifiche e prospettive umanistiche: al centro il futuro.
All’incontro hanno partecipato una ventina di esperti e studiosi in varie discipline scientifiche e umanistiche, con l’intento di aprire un dialogo sulla prevedibilità dei disastri (terremoti, frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche). Una tappa importante di un dialogo fra esperti, non facile ma indispensabile; un percorso che abbiamo avviato per costruire una cultura del rischio, mancante nel nostro Paese.
Perché un dialogo multidisciplinare?
I disastri causati dai terremoti sono molto frequenti nel nostro Paese: negli ultimi 150 anni ne sono accaduti in media uno ogni 4-5 anni; anche le frane e le alluvioni colpiscono con periodicità quasi sempre le stesse aree, mentre l’attività dei vulcani è una sorta di ipoteca sul futuro. Dopo i disastri, si contano le perdite di vite umane e di beni e occorre sostenere i costi altissimi delle ricostruzioni, che si protraggono per molti decenni. Eppure i disastri, sebbene così frequenti in Italia, accadono sempre come eventi inattesi. Perché se ne sottovaluta costantemente il rischio? Quali sono gli elementi che frenano questa assunzione di responsabilità da parte della società nel suo insieme? C’è una soluzione a tutto ciò? E’ un problema scientifico o di mentalità?
- Conoscenza dei pericoli e percezione del rischio: un problema culturale prima ancora che tecnico
Gli interventi hanno messo in luce che la mancata percezione conoscenza della pericolosità naturale e una bassa percezione del rischio associato (sismico, vulcanico e idrogeologico) abbiano una forte e diffusa componente culturale e di mentalità. Da questo punto di vista, molto presente e diffuso nei nostri mass media, il futuro sembra una dimensione improbabile, che non ci riguarda. Nel contempo il passato, anche quello recente, è una dimensione velocemente dimenticata per “correre” verso un confuso e contraddittorio futuro.
La prima giornata dell’incontro ha posto a confronto saperi e professionalità diversi, normalmente distanti e privi di dialogo. Il tema dei disastri è stato analizzato attraverso le esperienze di ricerca e di studio riguardanti storia, archeologia, filosofia, sismologia, antropologia culturale e geologia. Sono state messe a confronto da vari punti di vista e molto vivacemente discusse diverse interpretazioni: che ruolo hanno la previsione, la probabilità e i precursori? Come si presenta il futuro? Quali le responsabilità di chi produce le informazioni scientifiche sui terremoti e di chi le deve tradurre in azioni concrete e in comportamenti sociali?Gli esperti hanno ribadito che i terremoti non si possono prevedere, e ne hanno spiegato in dettaglio le motivazioni, evidenziando che non è tanto importante prevedere il terremoto in sé, quanto prevederne gli effetti distruttivi. Questo importante traguardo è oggi non solo auspicabile, ma anche facilmente raggiungibile, grazie a un’enorme quantità di dati e a nuove tecniche strumentali.
I rischi sono in aumento perché aumenta la vulnerabilità dell’edificato e l’esposizione. Anche la resistenza, o più spesso il rifiuto, delle istituzioni a sperimentare nuove strategie di intervento e a dialogare con la società, e la disinformazione delle persone possono aumentare notevolmente la vulnerabilità dei sistemi sociali. Su questi aspetti sono stati portati esempi di ambito mondiale.
Temi coinvolgenti che aprono prospettive nuove: è necessario sviluppare la consapevolezza che i disastri possono essere mitigati solo aprendo un dialogo trasparente e costruttivo per cambiare l’attuale impostazione attendista, verticistica e fatalista. Chiarezza di metodo e di obiettivi, conoscenza di ciò che si sta facendo a livello mondiale, informazione corretta della situazione, analisi e studio della vulnerabilità per aumentare la prevenzione e mitigare gli effetti. Il tema della vulnerabilità è stato indicato come una strada da percorrere con obiettivi nuovi, uscendo da una visione solo ingegneristica. - Tutelare il futuro: dialoghi sul rischio per una svolta culturale
Sono stati presi in esame i rischi connessi alle eruzioni vulcaniche, agli eventi estremi meteorologici, alle frane e alle alluvioni. Dall’analisi di casi specifici sono emersi elementi contraddittori: da un lato ci sono conoscenze scientifiche che consentirebbero un’affidabile ed efficace valutazione del rischio; dall’altro c’è una diffusa incapacità di tradurre queste competenze in una corretta gestione dei territori e di tutela delle popolazioni ivi residenti. In particolare, le analisi presentate di eventi di frane e di alluvioni hanno mostrato che le cause di esiti disastrosi sono troppo spesso ascrivibili a un eccesso di burocrazia, a normative farraginose, a sovrapposizioni di competenze tra vari enti: tutto questo si traduce in una carenza di controlli e in una cattiva inefficace gestione delle situazioni di rischio.
Gli studiosi presenti hanno ribadito l’esigenza di un’adeguata sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni locali sul tema del rischio, con particolare riferimento ai problemi specifici del territorio, attraverso tre “capisaldi”: conoscenza delle situazioni di pericolo, consapevolezza, autodifesa. E’ questo un necessario punto di partenza di un percorso culturale in senso lato, che porti alla consapevolezza individuale del rischio e ad affrontarlo con scelte responsabili anche personali.
La partecipazione di studiosi di discipline solitamente ritenute estranee ai temi del rischio, come la storia delle idee, la filosofia, l’antropologia culturale, hanno dimostrato l’importanza del contributo delle discipline umanistiche alla definizione e all’analisi del rischio, che nella letteratura internazionale non è più considerato solo dal punto di vista tecnico e ingegneristico, ma anche da quello culturale, politico e sociale. - Vito Teti, Università della Calabria e CRISSA
Francesco Mulargia, Università di Bologna
Gian Battista Vai, Università di Bologna
Alessio Santelli, Università Cà Foscari, Venezia
Maria Teresa Iannelli, Soprintendenza Archeologica di Vibo Valentia
Francesco Cuteri, Univ. Mediterranea di Reggio Calabria
Emanuela Guidoboni, Centro EEDIS e INGV
Marcello Martini, INGV – Osservatorio Vesuviano, Napoli
Gianluca Valensise, INGV – Roma
Paolo Gasperini, Univ. di Bologna
David Alexander, Institute for Risk and Disaster Reduction, Londra
Franco Prodi, CNR-ISAC, Bologna
Marco Giardino, Università di Torino
Monica Ghirotti, Università di Bologna
Antonello Ciccozzi, Università dell’Aquila
Elena Rapisardi, “NatRisk”, Università di Torino