Costruzioni, distruzioni e ricostruzioni
Costruzioni, distruzioni e ricostruzioni.
Qual è la sicurezza possibile?
Appunti di un geologo su una storia da cambiare.
di Franco Maranzana
Ricordo alcuni terremoti per meglio riferirmi poi all’Italia.
1988. Terremoto in Armenia. Gorbaciov era a New York, dove mi trovavo anch’io per l’inizio di un progetto sul rischio sismico nel bacino mediterraneo. I danni sono stati enormi e lui ha lasciato prima del previsto la sede dell’ONU per recarsi in Armenia, dove avevano costruito in maniera incredibile. Cemento armato. Parole potenti. Un po’ come Titanic. Ma il cemento armato può anche essere idiota quando gli edifici avevano i solai, pesantissimi, alloggiati in scanalature dei pilastri portanti, che naturalmente perdevano il loro spessore a causa dello spazio preso dall’ inserimento. Le pareti non avevano gli angoli ben connessi e legati tra di loro. Costruire con cemento armato non basta. Vedi case recenti distrutte dal sisma a L’Aquila.
1985. Città del Messico. Molti edifici avevano criteri antisismici ma non si erano tenuto conto di un fenomeno chiamato “liquefazione” diffusosi al momento del sisma nei terreni della città in gran parte costruita sui sedimenti di un lago attorno all’antica capitale degli Aztechi. Il contenuto d’acqua nei sedimenti lacustri si è separato dalla parte argillosa e sabbiosa e il terreno ha perso la sua consistenza. Alcuni edifici hanno resistito l’impatto ma si sono inclinati. Nel recente terremoto in Emila ci sono stati vari casi di liquefazione, già successi in passato.
1960. Agadir. 28 anni dopo il terremoto di Agadir mi trovavo in Marocco nel 1988 per il lancio del Decennio ONU sui disastri naturali ed abbiamo visitato la città distrutta dal sisma quando non esistevano regole antisismiche in Marocco. Ci hanno mostrato documentari, film, giornali dell’epoca con i mesti commentari in francese e in ogni servizio emergeva, sulla totale distruzione, la persistenza di 17 edifici che avevano resistito all’urto. A un certo punto, spinto dalla curiosità chiesi perché erano rimasti in piedi quei 17 edifici. Mi è stato detto che mi avrebbero risposto alla fine della documentazione e finalmente seppi che questi 17 edifici erano stati costruiti bene!! La chiave di lettura è qui. Basta costruire bene, con la giusta dimensione del tondino, con sabbia buona e la corretta dose di cemento, chiudendo gli angoli e collegando il tetto con le pareti in modo da formare un tutt’uno. I 17 edifici non erano stati costruiti secondo regole antisismiche, ma hanno subito l’impatto di un terremoto che ha distrutto tutto il resto.
E allora cosa combiniamo noi?
Non solo non costruiamo con criteri antisismici ma costruiamo veramente male. Basta ricordare le case recenti danneggiate in maniera notevole o distrutte a L’Aquila o i capannoni dell’Emilia. Qui c’è stato anche il problema della liquefazione, che colpisce i suoli di sedimenti recenti. Bisognerebbe essere così forti nel decidere di non costruire in terreni soggetti a liquefazione. Forse troppo difficile, ma per lo meno dovremmo costruire tenendone conto in maniera che la costruzione assomigli ad una zattera, per navigare sopra la liquefazione. Non che si comportino bene anche altrove. Ci sono stati dei terremoti in Grecia e in Turchia dove si sono viste delle cose incresciose: impasti di sabbia di mare con qualche cucchiaiata di cemento attorno a tondini di ferro di millimetri, invece che di centimetri. Per risparmiare relativamente poco. Sembrerebbe quasi che ci sia un gara tra i costruttori per premiare chi è capace di costruire in maniera che l’edificio cada con un scossa sempre meno potente.
La misura dell’energia sprigionata da un terremoto corrisponde alla scala Richter che ne definisce la magnitudine o magnitudo. Esiste un’altra scala, molto più antica, la scala Mercalli, che definisce l’intensità di un terremoto basandosi sugli effetti che il sisma genera sugli manufatti umani, dai piccoli danni alle cadute di cornicioni fino alla distruzione totale. Va specificato che esistono altre scale di intensità derivate da modificazioni della prima Mercalli. Un esempio: un terremoto di grande magnitudo che avvenga in una zona desertica avrebbe una corrispondente intensità della scala Mercalli molto bassa, mentre uno meno potente ma in una zona di alta densità abitativa, dove le costruzioni non sono antisismiche, avrebbe intensità molto alte della scala Mercalli. In un paese virtuoso, le costruzioni in zone sismiche verrebbero eseguite con criteri antisismici sempre più efficienti e a parità di magnitudo l’intensità della scala Mercalli dovrebbe diminuire.
Il recente terremoto in Giappone ha dimostrato fuori di ogni dubbio che le costruzioni anche di fronte a un sisma di grandissima energia hanno resistito in maniera impeccabile. Se non ci fosse stato lo tsunami spaventoso, il terremoto in sé e per sé avrebbe generato pochissimi danni e pochissimi morti. Esistono perciò dei paesi “virtuosi”, non certo il nostro e molti altri, dove anche per magnitudini relativamente basse l’intensità della scala Mercalli aumenta. Mi verrebbe quasi da pensare che la scala Mercalli sia anche una misura della stupidità e dell’incuria umana.
Quali consigli si possono dare?
Da tempo suggerivo che dovremmo considerare tutto il territorio italiano, tranne la Sardegna che appartiene ad un altro contesto geologico, con lo stesso criterio sismico, senza la divisione in zone sismiche, che alla fin fine creano più danni che vantaggi.
Prima del terremoto del 1976 in Friuli questa zona non veniva considerata come sismica. Ora lo è. Non vedo la ragione di aspettare un evento sismico prima di considerare il luogo dell’evento come sismico. Se poi volessimo considerare l’Italia facente parte di una zona molto più grande, come per esempio il bacino Mediterraneo, le zone sismiche avrebbero una uniformità superiore all’attuale che considera le zonazioni dentro i confini nazionali. Ad esempio l’Albania, essendo un paese, pur piccolo ha le sue brave zonazioni, come se noi avessimo zone sismiche regione per regione. Tenendo conto che il costo addizionale di una costruzione antisismica si riflette solamente nella parte strutturale, questo si risolve in un aumento intorno al 5 % del prodotto finito, dati i costi delle finiture che sono ingenti. Spesso il nuovo proprietario si lascia convincere a spendere un 5% in più per migliorare la qualità delle piastrelle e dei sanitari piuttosto che spenderlo in qualcosa che non si vede. Se arriva un terremoto casca tutto, comprese le piastrelle firmate. Si possono elaborare delle norme costruttive, riferite all’edilizia abitativa, in maniera semplice senza ricorrere ad espressioni matematiche o di difficile comprensione visto, che l’importanza fondamentale della costruzione antisismica sta soprattutto nel legame tra le pareti e di queste con il tetto. Se si decidesse oggi, metteremmo a posto il futuro riguardo l’edilizia abitativa. Se avessimo deciso 20 anni fa, questi venti anni sarebbero il futuro e quindi non ci penseremo più, invece appartengono al passato. E che passato, con L’Aquila, e l’Emilia per ricordare solamente gli ultimi eventi.
Il passato.
Uno potrebbe dire: chi ha dato, ha dato…, ma non sarebbe il caso. Bisogna far qualcosa per rimediare. Innanzitutto le strutture “sensibili e strategiche” devono essere in grado di poter funzionare in caso di disastro come gli ospedali, le caserme dei pompieri, e le prefetture che corrispondono ai centri di comando e intervento. Per le costruzioni in generale l’aspetto di vulnerabilità classica è dovuto alla mancanza di legame tra le pareti e quindi basterebbe avvolgere le pareti con una fettuccia resistente. Ho pensato, scherzando, al nastro marrone che si usa per imballare e così difficile da strappare. Quando si riceve un pacco avvolto in questo “scotch” attaccaticcio, bisogna avere un rasoio per disfare il legame. Basterebbe usare una cosa simile. Lo scherzo è stato preso sul serio e un ingegnere sismico greco, circa 20 anni fa, ha provato in laboratorio, con una tavola vibrante, il sistema di avvolgere ripetutamente con la carta gommata le pareti di costruzione in mattoni non legate. Tale sistema avrebbe resistito a un terremoto quasi equivalente a una magnitudo 5, secondo una sua comunicazione telefonica. Per passare dalla battuta scherzosa alla realtà, basterebbe creare una cinta di mezzo o un cm di spessore e una decina di cm di larghezza, con un tessuto speciale munito di fili di acciai resistenti e flessibili accoppiata a sistemi di tiraggio ed avvolgere le pareti delle costruzioni a intervalli regolari.
Prevenzione e protezione civile.
Sono due concetti antitetici perché se portati agli estremi uno esclude l’altro. In caso di prevenzione assoluta qualsiasi evento naturale non produrrebbe danni importanti, sia questo un terremoto o una frana o una inondazione. Il territorio e i manufatti sarebbero tutti indenni. A questo punto ci sarebbe poco lavoro per la protezione civile, o addirittura se ne potrebbe fare a meno. Nel caso in cui la prevenzione sia nulla, allora la protezione civile sarebbe al lavoro costantemente. Se il ragionamento è valido dal punto di vista concettuale, ci devono essere due istituzioni separate e con budget e gestione diversi, anche se afferenti a un organismo centrale, che assicura la necessaria collaborazione tre le due entità. Sembra evidentemente che non esiste un paese dove esistano i due estremi, anche se dobbiamo ammettere che questa meravigliosa ma dannata Italia sia più vicina al secondo estremo, cioè poca prevenzione e tanta protezione civile.
Conclusioni. I terremoti corrispondono a un aspetto fondamentale nella evoluzione della nostra terra. Non sono loro gli assassini, ma siamo noi del tutto incapaci a farvi fronte. La terra evolve prodigiosamente e quindi quelli che abitano la superficie devono adeguarsi. La nostra performance in questo campo potrebbe essere migliorata con norme semplici e facilmente digeribili. Non pretendo di arrivare ai livelli dei giapponesi o degli americani, ma ci potremmo avvicinare molto e chissà anche insegnare qualcosa come l’Italia ha fatto nella sua storia secolare.