Le ricostruzioni: «cartina di tornasole»
A due mesi dal terremoto in Emilia
Le ricostruzioni: “cartina di tornasole” di dinamiche in corso
di Emanuela Guidoboni
Cosa accadrà in questa nuova ricostruzione emiliana? Esisterà un “modello emiliano”?
Quali dinamiche si sono già innescate, quale corso è già stato preso? Tutto ciò non è percepibile a chi è fuori dalla macchina burocratica della regione. Sono disponibili nel sito web dell’Emilia Romagna le delibere approvate, ma non si trova un esplicito progetto, che scandisca obiettivi, criteri, tempi e protagonisti della ricostruzione. Non si vede la programmazione.
Non si capisce chi siano gli interlocutori, gli esperti coinvolti (e a che titolo); chi siano i consiglieri del Commissario straordinario, e attraverso quali legami (politici? culturali? economici?) ci siano dei suggeritori, che stanno imprimendo una direzione alla delicatissima fase economica, sociale e culturale, che si chiama ricostruzione in Emilia.
Quale pensiero – sono consapevole di usare una parola impegnativa – è delineato oltre le decisioni tecniche e amministrative? Dove si sta andando?
I problemi si accavallano, le ricostruzioni sono fatte così.
Il livello economico richiede un rapido reperimento dei fondi, la riattivazione immediata delle attività produttive. Il livello sociale pone i problemi del radicamento dei residenti, per contrastare uno spopolamento incipiente e un possibile svuotamento dei centri abitati. È un problema che si poneva anche nei secoli passati e le risposte nel tempo sono state diverse e con risultati diversi.
A livello di individui, la capacità di ripresa si basa sulla resistenza, saggezza e forza d’animo della popolazione: doti sedimentate in una società, per cui le comunità possono essere più o meno resilienti, ossia in grado di dare risposte rapide ed efficaci, facendo leva sulle proprie forze anche psicologiche.
C’è poi, ugualmente importante, il livello culturale della ricostruzione, che richiede analisi pronte e chiarezza di intenti: non si conservano solo dei monumenti, delle vetuste testimonianze della nostra storia, ma anche degli insediamenti, vivi e ben definiti, con la loro storia e la loro quotidianità, beni e valori di una terra precisa in un paesaggio specifico.
Questi diversi livelli possono essere tenuti attivi e vivificati solo da una visione vera dei problemi, espressa in un piano, in un progetto, che nelle ricostruzioni rappresenta il futuro. Ma occorre una forte coscienza storica e del presente, sopra la burocrazia e gli interessi che si snodano (regionali ed extraregionali).
La nostra storia italiana, intesa nel lungo periodo come territorio oggi italiano, è piena di ricostruzioni fallite, sbagliate, incomplete: sono sfide perdute che hanno generato effetti a loro volta devastanti.
E negli ultimi 150 anni, ossia dall’unità d’Italia, di risposte sbagliate al problema della ricostruzione dopo un terremoto ne sono state date molte. Ma la storia non si rifà: gli errori di valutazione di chi ha in mano i processi decisionali creano un effetto a catena, che può restare come una ferita.
Costruire e ricostruire: è una storia di enormi fatiche e sofferenze per le popolazioni colpite, una storia che sta sotto alla storia ufficiale del Paese, e che si è ripetuta troppo spesso, anche a fronte di terremoti di energia non molto elevata, per mancanza di prevenzione.
Le ricostruzioni dopo un terremoto investono anche direttamente la realtà democratica di un paese. Infatti sono in gioco i rapporti fra poteri centrali e locali, il ruolo delle rappresentanze territoriali, il consenso della popolazione al progetto che si intende realizzare, sui costi, sui tempi, sulle gerarchie sociali e culturali che i progetti stessi sottintendono: che cosa è più importante?
Salvo qualche rara eccezione, le ricostruzioni in Italia negli ultimi 50 anni hanno segnato un deficit di democrazia. Non dobbiamo accorgercene dopo. Sono questi i giorni importanti. Le ricostruzioni funzionano come cartine di tornasole: ossia evidenziano le vere dinamiche in corso, gli interessi consolidati o incipienti, le strategie di alleanze, che ci piaccia o no.
Tutto viene accelerato e come “svelato”. Nulla si inventa. Anche per questo la fase di ricostruzione è così importante: va resa nota e discussa democraticamente, occorre capirla mentre si realizza.
Per questo mi domando: è in corso un “modello emiliano” o si stanno ripetendo errori già fatti?